L'archeologia del Giglio in due nuove mostre
La pandemia di questi ultimi due anni ha imposto il rinvio di eventi culturali da tempo preannunciati, come due mostre inaugurate di recente a Cortona e a Grosseto, in cui sono presentate novità sulla storia del Giglio di età etrusca e altomedievale, grazie alla continuità di collaborazione tra gli archeologi del passato e quelli di oggi impegnati nelle ricerche e nella tutela dei beni archeologici dell'isola.
La mostra "Luci dalle tenebre. Dai lumi degli Etruschi ai bagliori di Pompei" allestita nel Museo dell'Accademia Etrusca e della Città di Cortona, focalizza l'attenzione sulle forme di illuminazione conosciute nell'antichità, dando particolare risalto agli espedienti adottati nel mondo etrusco in età arcaica. Il tema originale permette di trattare in modo innovativo, nel catalogo, non essendo esposti i materiali degli scavi, l'insediamento etrusco sulla sommità del Castellare del Campese, nella sua duplice veste di sito di controllo del sottostante approdo portuale e punto di intervisibilità, grazie a segnalazioni luminose, sulle rotte verso le coste settentrionali del Mediterraneo, ma anche su quelle di cabotaggio lungo la Toscana. Tra le isole dell'Arcipelago Toscano, per la sua posizione geografica, emerge il ruolo strategico del Giglio, nella rete dei traffici commerciali verso i mercati della Gallia nell'età di passaggio tra il VII e il VI secolo a.C., in un momento di fluidi rapporti tra Greci e città dell'Etruria meridionale, come concretamente documenta la varietà delle merci del carico nel relitto di Giglio Campese.
Ancora con funzione di nodo portuale di fondamentale importanza sulle rotte tirreniche, questa volta spostando l'attenzione sull'insediamento della costa orientale corrispondente all'attuale Giglio Porto, viene ricordato il Giglio nella seconda mostra "Una terra di mezzo. I Longobardi e la nascita della Toscana", allestita nel Museo Archeologico e d'Arte della Maremma di Grosseto. La mostra si concentra sulla progressiva conquista della Tuscia da parte dei Longobardi nell'Alto Medioevo, ma il Giglio, inserito con le altre isole dell'arcipelago Toscano e alcuni centri portuali della costa della Toscana nella "Provincia Maritima", avrà un destino diverso, restando saldamente in mano ai Bizantini dell'Impero Romano d'Oriente e inserendosi nel più vasto sistema di rotte mediterranee, che ancora collegava la parte occidentale dell'Impero con Costantinopoli per le relazioni commerciali e l'attività di controllo dei suoi territori.
Il piccolo ma significativo lotto di materiali esposti documenta, dopo la ripresa dell'attività del porto gigliese nel V secolo d.C., ricordata da Rutilio Namaziano, la sua frequentazione fino al VII secolo inoltrato, grazie ai materiali di produzione bizantina della discarica portuale e dell'estesa necropoli altomedievale che si installa sulle rovine della villa delle Grotte o del Saraceno. Per le notevoli dimensioni e la prolungata utilizzazione si potrebbe ipotizzare che la necropoli si sia formata attorno alla tomba di San Mamiliano: il corpo del santo, secondo le fonti, fu traslato da Montecristo al Giglio, dopo la sua morte, alla fine del V secolo.
Dalla stessa area proviene l'anforetta frammentaria, esposta per la prima volta, con un graffito forse indizio di un prezioso vino speziato (il "Konditum").
Entrambi i cataloghi delle mostre, per i noti motivi legati alla pandemia, saranno disponibili auspicabilmente per il prossimo autunno.
Paola Rendini
Materiali dal Giglio esposti (a destra l'anforetta con il graffito)
Particolare del graffito sull'anforetta
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