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Le gioie del Natale al tempo della miniera, al Castello, mio paese natio

Le gioie del Natale al tempo della miniera di pirite, al Castello, mio paese natio nell'Isola del Giglio.

Zio Athos, al telefono pubblico, nel bar di compa’ Gigi, comunicò che sarebbe arrivato da Viareggio la vigilia di Natale per poi ripartire il 26, dove aveva casa con moglie e due figlioli piccoli, ma quella volata, quella comparsa al suo paese la doveva fa’, se non altro per rispetto al forte richiamo natalizio là vissuto accanto ai suoi genitori, deceduti entrambi giovani, nei tempi grami della guerra.

Arrivò dal Porto con la rama che era già buio e accolto dal freddo, ma eravamo tutti là in piazza fuori porta, emozionati per il ritorno di un membro della famiglia originaria di mamma.
Nella casa di via Alfieri tutto era pronto: I panificati, cotti e sistemati in un grande vassoio, la legna nel caminetto che scoppiettava da più ore per offrire a zio una calda accoglienza, ma Athos, per arrivare alla meta impiegò più di un’ora e noi con lui, perché ogni due passi, nel paese pullulante di gente indaffarata per il Natale e lontana, per qualche giorno, dai pensieri del crudo lavoro nella miniera, c’era la sosta per un saluto, una stretta di mano davanti alle botteghe, un’esclamazione di sorpresa. Abbracci e auguri davanti ai bar.

Zio, conosceva tutti perché oltre esserci nato, nell’isola ci aveva lavorato, soprattutto nella miniera di pirite: “al concassè” come diceva lui e allo scavo della creta, sotto al grande scoglio di Aglialochi, dall’età di 14 anni.
Il corteo con le mie sorelle, babbo, zio Doriano con la moglie, la piccola Patrizia e zio Meco, una volta a casa, sommerse lo scoppiettare della legna con voci di parole simili, che si univano in un piacevole caos di affetto che ognuno voleva esprimere.

Mia madre, aveva preparato la cena e per l’occasione, riempito un cesto di frutta tra cui dominavano i mandarini; avevo sei anni, per me, mandarini e banane, significavano soltanto che arrivavano le feste di natale, così, nel chiassoso ritrovo, riuscii a prendere il primo mandarino e mangiarmelo sul baschetto, al freddo vento serale. Nessuno si accorse che questo gesto, lo ripetei quattro volte, con le bucce che facevo volare indisturbata nel vicolo.
Per rispetto alla vigilia, mamma, mise in tavola piatti cupi che riempì con minestra di fagioli cannellini e pane vecchio, abbrustolito.

Zio Athos, parlava, scherzava ancora incredulo di trovarsi là, ridendo alle battute sagaci e fulminanti che zio Doriano propinava all’improvviso e quando gli fu messo il piatto davanti, iniziò a mangiare con relativa calma, poi, a quattro palmenti; il cucchiaio faceva su e giù in maniera impressionante. Di fronte a lui, stavo seduta sopra i cuscini per arrivare con il viso al tavolo e restai, cucchiaio in mano, a guardare la scena di zio che divorava. Dopo finito, gli venne chiesto se di minestra ne volesse un’altra po’, eccitato da quel sapore dimenticato, frastornato dall’allegra stanchezza, zio rispose: “Bona oh Cateri’!… ma che era? “
E se questa scena con frase annessa, dopo quasi settant’anni è ancora viva nella mia mente, è perché ho capito che il caro zio, solo in quel modo poteva esprimere “in tutto quel sapore” la forma degli affetti in cui era stato allevato e cresciuto.
Il sapore come lingua madre.

Al momento della frutta, il cesto sguarnito di mandarini fece una brutta figura, ma nessuno notò la mia marachella, mentre io notai loro, i quattro fratelli: Caterina, Athos, Doriano e Meco, che continuarono sino al suono di mezzanotte, in un girotondo di storie e progetti. A raccontarsi, rispettosi dei ricordi, anche quelli più bui, dolorosi e a volte inspiegabili, che avevano condiviso.
La luce del tempo, dava loro una risposta sul legame profondo, che né la lontananza, né il continente, né il mare, avrebbero mai interrotto.

Palma Silvestri

Buon Natale a tutti i lettori e alla redazione di questo meraviglioso giornale.

Palma Silvestri

Nota:
Panificato: dolce della tradizione castellana la cui base sono i fichi neri essiccati al sole, poi nel forno, indi cotti, con una ricetta arricchita da pasta di pane, mela cotogna, cacao amaro, cioccolata fondente, uva secca, noci, pinoli e buccia di arancia.

P.s.
La foto del paese innevato è di Piero Landini
I panificati sono … miei.