Di fronte alla realtà l’uomo non deve mai porsi con un pregiudizio aprioristico.
La paura non deve mai essere un criterio di giudizio, e questo vale soprattutto per noi che abbiamo assunto la responsabilità di amministrare i nostri concittadini.
E’ per questo che io, con un atteggiamento di apertura alla possibilità di un positivo, mi ero schierata, peraltro, a favore del Parco terrestre.
Oggi è giunto il momento, però, di riflettere su che cosa esattamente desideriamo.
Noi desideriamo una natura protetta si, ma nell'equilibrio di una società viva. Non certamente un modello ideale (e integralista) di ambiente precluso all'uomo.
Il Parco deve, dunque, essere visto come uno strumento capace di promuovere lo sviluppo economico nella salvaguardia della natura attraverso interventi razionali contenenti le giuste soglie dimensionali per tenere elevata la qualità dell'ambiente e in esso dei servizi.
Questa possibilità, a mio parere, è realizzabile solo col concorso di alcune precise condizioni.

1) In primo luogo, seguendo i principi sempre validi della cosiddetta concertazione, è indispensabile il coinvolgimento della comunità locale, e dei relativi corpi intermedi, secondo i vari segmenti in cui essa si articola (associazioni di categoria, proloco, istituzioni pubbliche, ecc.). Il Parco può essere tutto tranne che un’imposizione dall’alto assunta con atteggiamento verticistico mediante un atto d’imperio. La gestione del parco da parte dell’ente preposto deve comunque essere armonizzata con i principi di partecipazione dei cittadini e di trasparenza, a cominciare dalla possibilità di accesso degli atti amministrativi (provvedimenti assunti, studi, progetti di bonifica, ecc.)

2) In secondo luogo l’attenzione deve essere rivolta all’organo deputato a gestire il parco. Tale organo deve necessariamente dare garanzie di competenza e di indipendenza. I membri che lo compongono devono essere scelti tra persone particolarmente qualificate ed esperti del settore. Quello cui non vorremmo assistere è lo spettacolo degradante di alcuni enti ridotti a meri “carrozzoni” appiattiti sulla logica della lottizzazione politica e della mera spartizione di cariche ed incarichi.

3) In terzo luogo si dovrà curare particolarmente la fase di monitoraggio affidandola ad un vero comitato scientifico. Dovrà essere redatto uno studio assolutamente minuzioso, prevedendo eventualmente anche la creazione di stazioni di ricerca o comunque di strutture che consentano di seguire lo sviluppo del "sistema", oltre che dal punto di vista ecologico anche da quello socioeconomico, anche in seguito all'istituzione del parco. Su questo si devono avere garanzie di serietà e professionalità. Noi sappiamo che i parchi sono centri attivi di difesa dell'ambiente e perciò la loro scelta è fondata non soltanto sull'esigenza di proteggere gli ecosistemi presenti in un'area circoscritta, bensì sulla possibilità di fornire valide indicazioni circa situazioni simili presenti in altre zone. Perchè questo avvenga devono necessariamente essere abbattuti dei tabù: ancora oggi, infatti, si pensa che l'istituzione di un'area protetta comporti esclusivamente delle restrizioni a danno delle popolazioni locali. L'organizzazione di un parco marino prevede un piano di zonizzazione il cui scopo è proprio quello di differenziare gli interventi e di "ammortizzare" l'impatto della comunità con la nuova realtà. Questo passaggio pare quindi inevitabile ed auspicabile perché oltre a garantire una più efficace e mirata gestione permette di limitare al massimo il peso delle restrizioni, che diminuiscono via via, venendo quindi incontro anche alle esigenze socioeconomiche della zona. Dovrà essere inoltre elaborato un programma a lungo termine mirato alle nuove possibilità di sfruttamento turistico che porterà allo sviluppo di attività lavorative alternative come le nuove figure professionali giovanili

4) In quarto luogo resta più che mai indispensabile l’esigenza di una verifica e di un controllo dell’attività di gestione del parco, a cominciare dagli insediamenti edilizi, per scongiurare il rischio della cosiddetta “cementificazione”. Se la asserita tutela dell’ambiente poi non si traduce in atti concreti, allora il rischio è che l’idea del parco si riduca ad un mero elenco di divieti applicati con lo stesso singolare criterio delle grida manzoniane.

Noi sappiamo che le finalità di un parco marino sono decisamente più complesse rispetto ad un parco terrestre, e che lo scopo fondamentale è il mantenimento dei processi ecologici essenziali e dei sistemi di sostegno alla vita, notevolmente delicati a mare, e la protezione massima della diversità genetica: per questi motivi il parco non può prescindere dall'istituzione di una zona protetta dedicata alla salvaguardia delle specie e del loro ambiente.
Ma la possibilità di realizzare tutto ciò in un ambiente antropizzato e con una sua precisa realtà sociale – cioè non ridotto ad un museo vivente – rappresenta un vero e proprio banco di prova della capacità, da parte di chi difende la realizzazione del parco, di creare la giusta "congiunzione" con le comunita' locali. E' infatti impensabile la realizzazione del parco senza il contributo ed il coinvolgimento di chi in quella realtà vive ed opera.
Solo se saranno rispettate le quattro condizioni cui facevo cenno sopra, si potrà arrivare a dire che la realizzazione del parco marino è capace di rappresentare una vera e propria "sfida", che sarà vinta solo se riuscirà a prevalere il buonsenso degli uomini di buona volontà.
Una cosa però è certa: se esiste un progetto buono condiviso dai cittadini che lo auspicano,  allora il parco marino può rappresentare una grande ed imperdibile opportunità. Prima di tutto per la comunità che nel parco continuerà a vivere.

Consigliere comunale
Anna Maria Bernardini