Quattro chiacchiere con Bruno Caponi
Bruno Caponi è sull'isola, in vacanza fino alla fine di Agosto. Chi volesse incontrarlo e fargli visita nel suo studio in via delle Mura 4, dietro la canonica di Giglio Castello, può trovarlo ogni giorno dalle 17 alle 20 oppure chiamarlo al 340 0727716.
Per chi, tra i lettori non gigliesi, non lo conoscesse, Bruno Caponi è un artista, orbetellano di nascita e gigliese di adozione, profondo conoscitore del nostro territorio, con alle spalle un excursus artistico di fama nazionale e internazionale.
Le opere di Caponi hanno raccontato la calma delle acque della laguna di Orbetello ed il mare del Giglio nelle gallerie d’arte di Firenze, Brescia, Milano fino a quelle di Philadelfia, Boston, Francoforte, Solothurn, Malta e tante altre ancora.
"Avevo diciotto anni, più o meno, - si racconta l'artista - e di fronte al tacito, contrastato equilibrio di una natura dal cromatismo sfuggente ho avvertito l'estraneità di quanto mi circondava. La pittura, la poesia del colore, della forma, mi è apparso allora l'unico modo possibile per sentire parte di me quello che mai mi sarebbe appartenuto" La pittura di Bruno Caponi, come si legge in alcune recensioni delle sue opere, trasmette col freddo calore delle sue lune, dei suoi mari, delle sue dune l'intensa e sofferta proiezione della sua interiorità, del carattere schivo, proprio di un uomo che sa essere generoso e affabile. Se è vero che tutto è già stato detto e raffigurato e che l'arte del '900 può solo riproporre, rielaborare, rivisitare, l'argenteo nitore di queste lune sembra regalarci una luce diversa, un limpido languore per recuperare la capacità di guardare il mondo che ci circonda.
Bruno non ama i particolari, gli sfuggono come agli occhi di un bambino, di cui, nonostante gli anni, sa mantenere lo stupore. Eppure quei cieli cupi sul mare di acciaio, quelle dune di sabbia che il sole non riesce a raggiungere, più di ogni parola, ci dicono la desolata solitudine, l'ansia inquieta di un artista moderno, di un uomo del nostro tempo, abituato a cercare le ragioni profonde nella quotidiana concretezza delle cose, estraneo ad ogni metafisica, consolatoria tentazione.
NATURA MORTA Ah, che fluidità, che movenze, che armonia quell’Agave sisalana, fatta per sacchi, ma da te dipinta, Bruno Caponi. Un’ Agave dipinta di notte. Anzi, meglio, sott’acqua, in balia di correnti e vortici avvolgenti, tra sconcigli e gorgonie, tra mitili e coralli, agitati dal mare. Una sequenza di flussi e riflussi di spatola e pennello, che t’ammaliano, ti cullano per farti assopire e, poi, sognare. Ah, quanto sei diventato bravo, Bruno Caponi, ben più, (ed eri già il più bravo di Maremma), di quando t’ho visto, sembrano cent’anni, l’ultima volta al Giglio. Sei così bravo Bruno che il tuo quadro potrebbe averlo “fatto” anche Picasso, tra le dune assolate dell’Andalusia, in un “teatro di dossi, ebbri e calcinati” siccome vide Pasolini l’Appennino. Quando le cose erano solo cose, i sentimenti solo sentimenti, le femmine abbondanti e flessuose come Modigliane, e l’amore solo e soltanto amore, limpido, intrepido e carnale, e non già i mostri stralunati di Guernica, quali le donne sezionate dei cubisti o le maschere viziose di George Grosz. E poi la luna, una malinconica luna, assai lontana, che, ormai compiuta, con la sua luce lieve domina superna la notte sulla sabbia, mentre, compiaciuta, occhieggia tra i tentacoli d’un polpo rovesciato che tenta, invano, di carpirla. Sa di piombo fluente ogni singola foglia di quel cespo di braccia, che sembra carezzarmi. Tant’è che vorrei farmi abbracciare. Ma veggo troppe spine e non sarebbe amore, ma solo sofferenza!