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Da GiglioNews “Vignaiolo condannato: appello alle istituzioni”
Rulli di tamburo per Rancas
La storia del Recinto ebbi occasione di leggerla nel 1974 da poco arrivata a Milano e vivevo in condivisione con una insegnante politicizzata e aggiornata sui fatti del mondo. Fresca di studi provinciali, me ne andavo spavalda con addosso l’odore di salmastro isolano e tanti sogni da tirare fuori: all’aperto. Quel libro mi capitò tra le mani e iniziai a leggerlo di sera, prima di dormire, ma, man mano che andavo avanti nella storia, un’inquietudine accelerava i miei battiti cardiaci: soffrivo per quella gente!? Perché? Smisi di leggerlo e lo restituii all’amica spiegando ciò che provavo. Il suo commento fu: “Tu ci vedi le ingiustizie sociali subite dai più deboli anche al tuo paese; ci vedi tuo padre sfruttato e maltrattato in miniera.”
Ma quei tempi sono lontani; oggi è diverso …
Invece no! E per me, isolana senza terra coltivata, che ha conosciuto le storie e la gente, è un tormento e una mortificazione leggere e constatare come i miei paesani coltivatori-vignaioli, non abbiano ottenuto da chi di competenza, una tutela nell’evoluzione/involuzione della terra isolana dedicata al Parco Nazionale; un occhio di riguardo alle - positive - tradizioni secolari che hanno portato e portano soltanto del BENE anche al turismo, e con l'attenzione dovuta al fatto specifico. Cammino lungo le mulattiere e mi viene spontaneo tagliare il rovo, il lentisco o la cepita. Così i vignaioli ... La condanna è roba da INCUBO.
I nostri “Uomini Silenziosi” del passato remoto, che lavorando dalla mattina alla sera senza chiedere nulla in cambio, ci hanno lasciato il vero mondo isolano, si rivolterebbero nella tomba.
Manuel Scorza (Lima, 9 settembre 1928 – Madrid, 27 novembre 1983) è stato uno scrittore e politico peruviano autore del libro: Rulli di tamburo per Rancas. Con l'obiettivo di difendere l'identità e i diritti del suo popolo, Scorza scrive una pentalogia conosciuta come "La Ballata” con la quale, combinando poesia, racconti popolari e storia, racconta la lotta senza tempo dei contadini per recuperare le proprie terre, sottratte dalle multinazionali minerarie e dai fazenderos latifondisti. In questo scenario prendono corpo le epiche lotte contro il Recinto, che giorno dopo giorno avanzando con la sua barriera di acciaio e filo spinato, sottrae campi agli indios contadini e le rivolte di questi ultimi, represse con il sangue. I protagonisti sono eroi indios, ma ricordano molto i nostri eroi guerrieri di pace. Ciascuno affetto da una malattia meravigliosa: Héctor Chacón (Rulli di tamburo per Rancas) è affetto dalla nictalopia: come i gatti vede meglio di notte che di giorno. In questo modo riuscirà ad organizzare la lotta contro l'oppressore, rappresentato dal Giudice Montenegro, emissario del governo di Lima. Fermín Espinoza (Garabombo), gode invece del dono dell'invisibilità. È visibile a tutti coloro che sono oppressi e invisibile agli oppressori; diventa visibile a tutti quando lotta e reclama per i suoi diritti e per i diritti della comunità indigena.
Questa condizione rappresenta metaforicamente la mancanza di coraggio degli indios; l'invisibilità è determinata dal silenzio, dalla rinuncia a rivendicare i propri diritti… Come oggi i nostri vignaioli … e a pagare in silenzio; convinti di vivere una grande ingiustizia, -ma pagano in ogni senso- aggiungo io, provando la stessa inquietudine che accelera i mie battiti cardiaci come in quel lontano 1974.
Palma Silvestri
P.s. Da Enciclopedia libera - on-line. La pentalogia si apre con Rulli di tamburo per Rancas (1970), continua con Storia di Garabombo, l'invisibile (1972), Il cavaliere insonne ( 1976), Cantare di Agapito Robles (1976) e si conclude con La Vampata (1978).
Propongo un intervento a quelli che hanno potere di gestire la "conservazione" dell'Isola. DENUNCIAMO TUTTI I DISCENDENTI DEI VIGNAIOLI EROICI (cosi come ci piace chiamarli), perché si sono permessi di: - estirpare pezzi di macchia mediterranea per creare terrazzamenti, - rompere pietre per realizzare i muri a secco per contenere due manciate di terra, - addirittura scavare con mazzetta e scalpello nel granito tine e palmenti, - ripulire e magari posizionare qualche pietra piatta lunghi tratti di "asiniere" per poter arrivare fin a ridosso delle scogliere ....... insomma ....... di essere stati consanguinei, complici, e di avere ereditato qualche fazzoletto sparso qua e là per l'Isola !!! E guai pure a guardarli di lontano, perché si turba il paesaggio.
Per una volta, dando per scontato il consenso di chi mi legge e del Direttore di Giglionews, mi permetto di esprimere le mie considerazioni, in calce a due diversi “interventi”, specularmente diversi nel “giudizio”, ancorché entrambi relativi ad una medesima vicenda, ovvero quella che ha visto condannati un vignaiolo ed un ortolano del Giglio ad ammende piuttosto significative, parte delle quali, per evitare d’essere, addirittura, carcerati (vicenda su cui, tra l’altro, ho già scritto un’ironica filastrocca in versi). Ebbene, mentre il “politico”, quanto valente gestore d’un accogliente struttura alberghiera di Campese, dottor Stefano Feri, del cui padre ho un bellissimo ricordo, relativo anche a qualche suo scritto, che, molti anni addietro, ebbi occasione di leggere, fa, come si usa dire, il “Cerchiobottista”, ovvero dà un colpo al cerchio ed uno alla botte, né, del resto, nella veste di ex Consigliere comunale, di ex (di fresco) segretario del P.D. di Isola del Giglio, nonché di Consigliere d’Amministrazione del Parco, complementare rispetto ad una Regione, per così dire, “rossa” (tutti ruoli afferenti livelli istituzionali, cui, presi l’un per l’altro, e ciascuno per la propria parte, afferisce la responsabilità di non aver fatto chiarezza in materia) poteva fare altrimenti, entrando nel merito di normative che, mentre dicono e non dicono, per certi versi, si rifanno anche a principi e potestà diverse e contradditorie, senza, però, esprimere, chiaramente e senza riserve, la sua personale opinione, rispetto ad un evento che, a mio parere, ha del “clamoroso”, la “mitica Silvestra Gigliesa”, pur partendo la lontano, ovvero dal Perù, attraverso il suono dei “Rulli di tamburo per Rancas”, di Manuel Scorza, ha, come una “pasionaria, il civile coraggio d’entrare, addirittura coi piedi, nel merito dell”ardua” sentenza, affermando che i defunti del Giglio, sicuramente si stanno rivoltando nella tomba. Sentenza, che, però, sempre a mio modesto parere, a differenza delle sentenze emesse dal giudice Montenegro della “Pentalogia” dello scrittore, non implica la responsabilità chi l’ha emessa e che, evidentemente, alla luce di quanto c’informa il dottor Feri in merito alle norme esistenti, non poteva fare altrimenti, bensì quella di chi, forse al cospetto del suddetto pressappochismo normativo, ha ritenuto di dover sporgere la relativa denunzia, dimentico che esiste pure un diritto naturale e delle tradizioni (che, tra l’altro, non solo non danneggia, checché se ne voglia dire, proprio nessuno, bensì arricchisce, in ogni senso, edonistico ed eudemonistico, la Comunita sociale), che precede e deve prevalere, senz’altro, quello scritto a posteriori, soprattutto, quand’è, come, di fatto, asserisce sempre il Feri, scritto male od impropriamente. Distintamente, Gian Piero Calchetti