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Una passeggiata spettacolosa (nell'ignoranza, nella presunzione e nello spreco di denaro pubblico)
Ci sono luoghi ai quali ognuno di noi è, per svariati motivi, particolarmente legato. Per me, al Giglio, uno di questi è il " Familiari ", quell'aspro pendio posto nella parte sud dell'isola che degrada fino al mare e dove si trova, a poche centinaia di metri da cala del Corvo quell'eroica palma autoctona, capace di resistere ad intemperie di ogni genere , ai salmastrosi sverzini che il libeccio gli porta addosso e persino al disastroso incendio che nel lontano 1974 distrusse la vegetazione di metà isola e del quale, a ben guadarla, porta ancora i segni.
Alternandoli con il Capel Rosso o l'Archetto di Pietrabona, sopra quegli scogli lisci, ampi e che si infilano dolcemente in mare eravamo soliti, ragazzi e ragazze del Castello, andare per le consuete "ribotte" domenicali e, lo dico ai moderni ecologisti che sanno ragionare solo in termini di divieti, mai e poi mai è rimasto traccia di quelle giornate; carta, carta stagnola, scatolette vuote ecc. tutto veniva riportato a casa, mai lasciato a violare la bellezza di quei fondali o la pulizia di quei cacchioni.
Sapevo che fin dalla primavera scorsa era stato riaperto uno degli stradelli che consentiva l'accesso a quel posto meraviglioso via terra ma, fino a qualche giorno fa, non avevo avuto la possibilità di percorrerlo e qui cominciano le note dolenti, semplificate nel sottotitolo, ma che ora andrò a spiegare.
In diversi e consistenti punti il nuovo stradello non segue il percorso del vecchio, ma, per così dire, taglia a dritto; per fare questo sono stati utilizzati alcuni liscioni di granito, il primo dei quali termina, per circa due metri nell'ultima parte, in modo quasi verticale, per cui, in discesa occorre letteralmente lasciarsi scivolare e in salita, se non ci si fa con una breve rincorsa va fatto a carponi e a quattro zampe.
Non è questo l'unico punto pericoloso del percorso scaturito dall'abbandono del vecchio tracciato: ma avete pensato, mi rivolgo ai responsabili che hanno commissionato il lavoro più che a chi lo ha eseguito, che siamo in una zona dove nessun telefonino prende segnale, ed una semplice distorsione ad una caviglia può essere un problema serio se non si è in due?
Ma non è finita anzi il meglio o il peggio deve arrivare.
Per "tirare a dritto" come è stato fatto, sono stati attraversati in diversi punti terreni terrazzati, all'insaputa di sicuro dei proprietari, devastando, per abbassarne l'altezza, le greppe esistenti e questo mi dà lo spunto per spiegare il termine ignoranza usato nel sottotitolo; essi, mandanti ed esecutori appunto, sono ignoranti in quanto ignorano che quelle greppe, strappate al granito, sono state "tirate sù" con fatica, sudore e passione dalle mani callose di qualche contadino gigliese che, pur avendo forse fatto appena qualche classe elementare, sapeva benissimo che uno stradello per essere veramente funzionale al bisogno, doveva avere una gradualità di discesa e di ascesa che lo rendesse percorribile all’asino, amico fidato di tante fatiche, magari carico di due cestoni pieni d’uva e non tanto a noi bipedi.
Tutti gli stradelli del Giglio sono lì, a testimoniare con il loro percorso, quanto ho appena scritto.
Mi piacerebbe sapere inoltre se di tutto ciò sono a conoscenza gli uomini del Corpo Forestale dello Stato.
La presunzione deriva invece a mio parere dal fatto che, quando si fanno certe cose, bisognerebbe mettere da parte le carte (ammesso che qualcuno le abbia consultate), le lauree e i diplomi che uno può avere e appoggiarsi con fiducia a persone del posto che, durante l'avanzamento dei lavori, potrebbero dare, (al Giglio ci sono che ne sanno molto ma molto più di me, penso al Ghego, a Biagio di Bugia ecc.) le giuste indicazioni per una corretta esecuzione dei lavori.
Mi sembra la storia del tratto appenninico dell'Autostrada del Sole: pensate se, tutto il pool di ingegneri, geologi, architetti di allora avesse detto ad un pastore o ad un contadino del posto che volevano far passare l'autostrada a 826 mt. s.l.m. come questi gli avrebbero risposto!
Altrimenti un super esperto ve lo trovo io: è il mio amico Claudio (di Gigetto) che lavora a Milano ma viene spesso al Giglio e che, avendo passato tanta parte della giovinezza ad incitare alla salita su quello stradello con il classico "vassù" l'asino di suo nonno Francesco (il Tognara), ne conosce ogni segreto.
Così si tratta solo, come appunto dico nel sottotitolo, solo di spreco di denaro pubblico: chissà quante giornate di lavoro è costata la realizzazione di questo assurdo, per come è stato realizzato, lavoro. Solo dei pazzi si potrebbero avventurare in alcuni tratti del tracciato che è stato realizzato e quindi il tutto non è nemmeno funzionale ad accogliere quel tipo di turismo fatto dai cosiddetti "camminatori" già presente sulla nostra isola, ma che, stronzate come quella appena descritta, non contribuiscono di sicuro ad incentivare; tra l'altro il sentiero non è minimamente segnalato in alcun modo e ... meglio così.
Se qualcuno dei responsabili del lavoro pensa che ho esagerato provassero a fare questo: portate un asino sugli scogli con una barca, non in discesa perché rischiate di farlo ammazzare e vediamo se riuscite, pure scosso, a farlo arrivare alla Bredici. Forse ce la può fare una capra o un muflone.
A fine giornata, sbollita un po' l'incazzatura, rimaneva il ricordo di essere tornato, via terra, in un posto magico, fuori dal mondo e al Giglio, a cercarli, posti così ce ne sono ancora; mentre risalivo il duro pendio si rimaneva quasi inebriati ed intontiti dagli odori dei mucchi, delle ginestre in fiore, del rosmarino che, appena lo tocchi ...... . Ho pensato per un attimo ai contadini andini che masticano continuamente foglie di coca per alleviare la fatica e i disagi dell'altitudine; un po', quegli odori, mi sembrava potessero avere lo stesso effetto e riuscissero a mitigare anche la mia incazzatura.
Angelo Stefanini - 22 aprile 2015
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