Mille lacci rimossi in 10 giorni. In trappola questa volta mettiamoci il bracconiere.
Tornano a casa stanchi, accaldati e sudati; aprono gli zaini e rovesciano sul pavimento centinaia di sottili ma robusti fili di ferro. E' il bottino della giornata: una media di cento trappole al dì. Campo antibracconaggio all'isola del Giglio, lo organizzano la Lega Abolizione Caccia e la Fondazione ValleVegan. Il grosso dei partecipanti viene da Roma e dintorni, ma ci sono anche presenze dal nord Italia. "Ci siamo fatti le ossa nell'isola di Ponza, sullo Stretto di Reggio Calabria, nel Bresciano, in Sardegna, a Malta e Cipro – spiega Piero – Tutte zone dove l'attività venatoria, legale ed illegale, è diffusa in modo sistematico. Ora da un paio di anni siamo anche qui". In un paradiso ecologico dove va di moda braccare senza sosta gli animali selvatici, soprattutto i conigli.
La scusa è che i conigli rovinano le coltivazioni. Ma, in molti casi, sembra solo un pretesto: parecchi orti hanno recinzioni salde ed estese, scavate a terra. Difficile immaginare che un coniglio riesca a passare. "La realtà è che molte persone il coniglio lo cacciano per mangiarlo o rivenderlo ai ristoranti". Le trappole sono semplici e micidiali al tempo stesso: posizionando legni e pietre il bracconiere costruisce fuori dagli orti o addirittura nella macchia mediterranea dei sentieri obbligati. Poi fissa un cappio di fil di ferro, il coniglio passa, infila la testa, il cappio si stringe e l'animale resta bloccato. Rimane lì per ore, giorni; muore di fame, di sete, di paura.
In dieci giorni di campo la ventina circa di persone che si sono avvicendate hanno rimosso un migliaio di lacci e una decina di sep. Le sep servono a catturare gli uccelli, che sono in periodo di migrazione. Un meccanismo a scatto ancorato a terra, con un'esca ben visibile in mezzo (un insetto, un pezzo di frutta o pane): l'uccello scende per mangiare e le due estremità scattano. Se gli va bene, si rompe l'osso del collo e muore subito; se viene preso per le ali, rimane ad agonizzare.
Trovati anche diversi appostamenti di caccia temporanei su suolo demaniale: la legge vuole che vengano rimossi dai cacciatori a fine giornata, ma qui preferiscono lasciarli e risparmiarsi la fatica. La stagione di caccia è chiusa, ma torneranno buoni a settembre.
I volontari antibracconaggio, quando trovano una zona interessante, si dividono e la battono. Chini sugli arbusti lavorano di pinze e mani per tagliare i fili o scioglierli dalle canne posizionate. Viene messo tutto negli zaini, poi si va avanti. Verso il prossimo laccio, verso il prossimo coniglio morto.
E' bracconaggio, è reato penale, è uccisione a sangue freddo di animali innocenti. Racconta un isolano: "Anni fa andavano di notte a sparare ai conigli. Con il fucile e una torcia innestata. Poi le forze dell'ordine hanno fermato parecchia gente". Meglio le trappole: più subdole, meno vistose e soprattutto meno rumorose. All'isola del Giglio c'è il coniglio selvatico, ma sono stati introdotti anche molti capi alloctoni per cacciarli. E la situazione è sfuggita di mano. La caccia come reale causa del problema e come presunta soluzione dello stesso: tragicomico paradosso italiano. Il caso limite nel nostro paese è quello dei cinghiali ungheresi, più grossi, robusti, voraci e prolifici dei nostrani. I cacciatori li hanno introdotti per diversificare il divertimento. Di fronte al danno ecologico provocato dai nuovi animali, il mondo venatorio invoca mano libera per 'controllare' la popolazione.
I ragazzi percorrono l'isola a piedi, battendo i sentieri degli escursionisti o buttandosi nella macchia. Si impara presto a non cercare le trappole (spesso sottili e invisibili), ma l'impalcatura che serve a sorreggerle. Se c'è un bastone orizzontale a pochi centimetri dal suolo, è quasi sicuro che attaccato ci sia un laccio. O anche più di uno: è stato trovato un legno che aveva innestati fino a quindici cappi. Perlustrano radure e confini degli orti, senza mai entrare nella proprietà privata. Alcuni abitanti del posto non la prendono bene: i primi giorni qualche lugubre occhiata, poi un crescendo di insulti, minacce e anche aggressioni.
Un ragazzo è stato assalito con un bastone da una persona lungo la strada asfaltata. "Ma ci siamo abituati – spiega Piero – Se partecipi a un campo devi mettere in preventivo le aggressioni. L'importante è rimanere tranquilli e non rispondere alle provocazioni. E il lavoro non finisce oggi: documentiamo tutto per far sapere anche all'esterno cosa succede qui".



Per commentare occorre accedere con le proprie credenziali al sito www.giglionews.it
Login
Non riesci ad accedere al tuo account? Hai dimenticato la password?