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"Cavalcata" sul Giglio e dintorni
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UNA PREMESSA DI NATURA CRONACHISTICA (PER SPIEGARE I FATTI)  ED UNA "COMPOSIZIONE" SUL GIGLIO E DINTORNI

Un giorno, Pietro Rinaldi, di madre gigliese e di padre “cencellese”, Ingegnere nucleare, di grosso spessore sia umano che scientifico-culturale, di considerevole statura fisica (da giovane ha “fatto” Pallacanestro) nonché appassionato cultore di motociclette (possiede, se non sbaglio con gli anni, una splendida quanto vetusta Harley Davidson del 1943), con il quale, spesso, m’ero trovato in “consonanza” d’idee su vari temi (soprattuto quelli sulla Concordia) trattati da “GiglioNews”, mi chiese di aiutarlo a dar corpo ad una sua vecchia aspirazione.

Ossia, “realizzare” una “Ballata Gigliesa” (la parola Gigliesa è un vezzo tutto mio).

Sentendomi assai onorato per l’invito, dopo aver, comunque, manifestato, “apertis verbis”, la mia totale ignoranza in campo musicale, al momento che Pietro ebbe ad aggiungere che la musica, sarebbe stata di sua esclusiva pertinenza, risposi di sì.

Così come, in virtù del fatto che una “Ballata”, per essere tale, deve avere il ritmo del Valtzer, mi pregò di scrivere in “quartine”, “valtzeristicamente” ballabili, la storia del Giglio e d’attenermi ad uno specifico “canovaccio” storico-topografico suggeritomi.

Debbo confessare che traslare i versi in musica, visto che sono affatto digiuno di suoni e strumenti musicali, è stata, per me, sia una fatica d‘Ercole, che una sofferenza di Sisifo, e non sempre ci sono riuscito, ancorché Pietro si sforzasse, a volte riuscendovi egregiamente, a “coprire” musicalmente e con apprezzabilissimi “virtuosismi” della sua bella voce “country”, “quartine”, che non erano tali, in quanto, per mie esigenze di compiutezza espressiva, alla faccia dell’”Lotto”, non potevano che essere “cinquine” e, magari, anche “sestine”.

D’altro canto, a questa mia “licenza”, ovvero la deroga alla rigidità ed alla “classicità” dei parametri compositivi, pretesi dalla musica, cui pure s’aggiungeva il fatto che il testo, secondo Pietro, fosse più lungo di quanto necessario a mantener viva l'attenzione di chi ascolta, faceva da contrappeso, secondo il mio punto di vista, l’inserimento di versi che, né dal punto di vista letterario, né da quello della “significatività” concettuale, mi soddisfacevano.

Ragion per cui, ancorché il “percorso” compositivo, in senso generale, seguisse il “canovaccio” cui avrei dovuto attenermi ed a cui m’attesi, forse a motivo del fatto che, tranne due brevissimi incontri, non abbiamo, per quel poco che ci è stato possibile, lavorare insieme (se avessimo potuto farlo, sono più che sicuro che avremmo “prodotto” una “Ballata Gigliesa” di tutto rispetto, con tanto di “fiocchi e controfiocchi”), un paio di mesi fa, con l’amaro in bocca, abbiamo deciso di interrompere la collaborazione, rimanendo, comunque, in rapporti di “viva” amicizia e di reciproca massima stima.

Questo, però, non ci ha impedito di procedere, comunque, seppure in modo del tutto autonomo, per la strada ormai tracciata.

Così, alla stregua di quanto ho appena appreso da Pietro stesso, e cioè, che, dopo aver consultato parenti, amici, musici e cantori di talento, con i quali usa esibirsi nelle sere d’Estate, al cospetto d’un pubblico di appassionati cultori delle tradizioni e delle novità isolane, ed aver sottoposto il frutto del suo “lavoro” all’attenzione del “grande” Tonino Ansaldo, anch’io, per mio conto, ho modestamente terminato la “mia” Ballata, che Ballata, però, non può più essere, nella speranza che qualcuno, magari con ritmi alternativi se la senta di musicarla.

Se così non sarà, pazienza!

Vorrà dire che, nell’augurare il massimo successo a Pietro ed alla sua Ballata, che, forse, se non avessimo “incrociato” le nostre esperienze, non avrebbe mai visto la luce, per quel che mi riguarda avrò semplicemente composto “qualcosa” atta a significare l’amore che nutro per l’Isola, per la sua storia antica, per le sue tradizioni e per il suo folklore.

"CAVALCATA" SUL GIGLIO E DINTORNI

Ti tengo a gavezza, mio grande gabbiano reale, e, a cavallo dell’ampie tue ale, che scalan, possenti, la brezza, la veggo dall’alto quest’isola amata, di rara bellezza, che stando beata sul mare di smalto, fa d’ogni suo sito, di fiori e granito, la scena d’un mito.

Un “passaggio” su Porto e Castello, su Campese, ch’è il golfo più bello, e, sopr’acque color verde-blu, ben cabrando, a tribordo, più in su, e virando, a babordo, di fronte, per mirar l’erta di Cristomonte e il massiccio dell’Argentaro, che, dal “Greco”, ci fa da riparo.

Poi, Giannutri e le “Miniformiche”, e un ritorno sulle cale più apriche, d’Arenella, del Faro e Cannelle, colle spiagge più rare e più belle. ricomprese, di dosso in ridosso, tra il Fenaio ed il Capel Rosso, più l’ingresso ad antiche miniere, che portarono grande mestiere, giusto accanto al bel Faraglione, che, qual tripode o lume, tra salsedine e brume, tiene “discreto” bordone, a chi s’ama all’"Allume".

La veggo dall’alto quest’isola amata, che, stando beata, fa d’ogni suo sito, di fiori e granito, la scena d’un mito.

Se, all’inizio, le arrise la vita, agli Etrusco-Romani “gradita”, ebbe pure una storia assai dura, combattuta fin sotto le mura coi feroci pirati d’Oriente.

Tanto che, a mutar la fortuna, che avea visto la Mezzaluna catturar quasi tutta la gente, coi rimpiazzi del Continente, giusto a fine del Settecento, tacitato ogni vecchio lamento, ingaggiasti una pugna furente, ove il Moro perdette ogni dente.

Cosicché ritornasti ridente, di zaffiri e smeraldi adornata, qual sirena gioiosa e beata, che ti fa desiosa e fremente. E su antichi terrazzi, scolpiti, riprendesti a “curare” le viti, trasudanti grappoli ambrati, cui, vengon delizie al palati, d’Ansonaco forte e fruttato che l’astemio induce al peccato.

Quindi, apristi l’antica miniera, di precaria ricchezza foriera, che, pur dal modesto salario, ti faceva sbarcare il “lunario”, per richiuderla, poi, di recente, diventata alla fine accogliente guadagnando ben altri “valsenti” coi turisti più ricchi e più abbienti.

S’affollarono Porto e Castello e Campese con il suo faraglione, più la torre che ben gli si oppone nel golfo che sembra un gioiello.

Coll’Estate, che, senza pretese, pur invita i “foresti” a far spese, ed il sole, che, da Maramaldo, li ristora nel mar di smeraldo.

Oh Gigliesi, a Lorenzo devoti ed a Rocco ed a Mamigliano, che, conteso ad altri men noti, ad un braccio ed alla sua mano or soltanto riuscite a far voti.

Giglio mio, che per i tuoi santi, d’anno in anno, giusto t’incanti e promuovi quadriglie e cortei, sfavillanti di “fuochi” e di “sghei”, ben più a lungo t’arrida il destino, dopo che un ignobile “inchino”, ordinato da ‘no stolto Schettino, ti costrinse a sta’ prono e reclino.

Fu la sera d’un freddo Gennaio quando avvenne lo storico guaio, della nave di “Costa Crociere”, che, guidata con scarso mestiere, urtò Scole e affondò a Gabbianara, con a bordo la gente più ignara, per fortuna, a migliaia salvata da quest’isola presto allertata.

Ed è per questo salvataggio, compiuto dando prova di coraggio, al cospetto d’un vil capo-equipaggio, che m’è più cara e amata, quest’isola beata, che fa d’ogni suo sito, di fiori e di granito, la scena d’un bel mito.