Croce lignea e croce di ferro
Bella primavera! quanto ti ho aspettato.
Già, vedo le tue mani premurose raccogliere in un vaso paure e malanni accumulati nei giorni bui e incerti di un inverno sofferto, ma seguirò la scia odorosa della tua fioritura aspettando Pasqua, da vivere nel paese dei natali a me destinati e che, solo per questo, mi fanno sentire fortunata.
La primavera, nella follia odierna e disperata, ha il potere di nascondere quel vaso lontano da me, lasciandomi quelle poche certezze che aiutano a sopravvivere avvolgendomi nel suo clima, capace di portare gli spiriti alle sfere alte del benessere fisico e spirituale.
Oh Crux, ave, spes unica!
Due croci, nel mio paese, Giglio Castello, sono protagoniste del cuore, nella scena del Venerdì Santo: nell’occasione unica e storica notturna per le vie del paese, sino a diversi anni fa, il Cristo d’avorio, opera artistica su croce lignea, usciva dalla chiesa scortato da due carabinieri e portato in processione da una persona in qualità di apostolo, custode anche della chiave di un piccolo tabernacolo, posto ai piedi del sepolcro, Sancta Sanctorum dell’eucaristia.
Nella notte, la piccola croce, accompagnata dalla banda e dal canto delle pie donne, portava commozione, chiamando memorie lontane, le nostre famiglie che, segnandosi al passaggio della magnifica e simbolica opera d’arte tanto venerata, accendeva lumi alle finestre. E chiedeva speranza.
Un giro di meditazione e ritorno alle origini in un paese che cambia ma non come entità.
A dimostrazione che i Nostri, vivevano nella loro bella culla con l’orgoglio del cacciucco, dell’ansonaco e della responsabilità di ciò che avevano a cuore, nel tempo della guerra ’40/45, col pericolo imminente dei bombardamenti, il Cristo eburneo in questione, imballato in un coltrone, fu portato lontano dal paese, giù, verso il Campese e posto segretamente in un campo, sotto terra.
Oggi, che ne è stato riconosciuto il giusto valore artistico, il nostro Cristo resta chiuso e protetto per tutto l’anno in una teca esposta al pubblico nella parrocchia del Castello, che ne è custode sin dal lontano 1725, quando il gigliese monsignor Olimpio Miliani lo consegnò, con grande gesto d’amore, alla nostra chiesa: un dono per la popolazione, che oltre alla marra in mano, in quei tempi lontanissimi e duri, non aveva tesori, né in chiesa, né tanto meno al di fuori.
Un altro crocifisso da più di settant’anni vigila umilmente il nostro passo spesso distratto; si trova alla terza porta del paese in una grande nicchia formata da massi granitici, sotto le antiche prigioni, è la croce di ferro di un altro gigliese: Enea Emanuelli detto Fabbretto, che realizzò nella sua fucina ai tempi delle attività isolane. Saggezza accomodante di lavoro e di pane sicuro. Era il 1934.
Le due Croci parlano di speranza, quali simboli di Pasqua e della Primavera, rinascita della nostra vera natura.
Terrò unite le due croci, per me, dallo stesso valore intrinseco espresso attraverso la volontà religiosa di donare, per il primo e, la volontà cristiana, del donare attraverso fatica e duro lavoro con maglio e incudine, per il secondo.
Palma Silvestri.
Buona Pasqua di resurrezione a tutti.
NOTE
Per il Cristo d’avorio:
Relazione della dottoressa Mangiavacchi "Il Crocifisso d'avorio di Papa Innocenzo XIII" - VISUALIZZA che ringrazio vivamente porgendo gli auguri di Buona Pasqua.
Per la Croce di ferro:
Argentino Stefanini, di Ottavio, Amico sincero, appassionato ricercatore dei casati gigliesi, al quale mando l’invito a pubblicare di seguito, la sua scrupolosa relazione su Enea e sulla manutenzione nel tempo, della Croce di ferro.
".... imballato in un coltrone..... ", mitica Palma.