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Delle capre, del Muflone, delle vigne, delle terre, degli scogli del Giglio
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Delle capre, del Muflone, delle vigne, delle terre, degli scogli del Giglio

Basta, versare lacrime rabbiose.

Con l’azione perpetrata ai poveri innocenti mufloni e ai fichi degli ottentotti, (LIFE LETSGO Giglio), l’Ente Parco, cancella tutto ciò che a protezione e salvaguardia delle terre del Giglio ha portato avanti sino ad oggi.

Non mi importa leggere l’elenco dei - bei fatti - frutto di contratti organizzati a livello europeo, degli investimenti da spendere per ottenere un ambiente che invece, impoverisce la terra e le sue storie, da offrire a chi? A me? Non credo. La premura, il rispetto, intesi -come ascolto della comunità indigena-, messi in cima a tale drastica decisione, è una chimera agognata e sofferta. Al turista? E perché, se il turista, viene spesso proprio nel tempo della fioritura degli ottentotti, o, ferma in uno scatto la meraviglia, presa al volo del selvatico animale Muflone?

Tantissimi luoghi nell’isola sono diventati asettici e privi della loro primitiva fattezza. Tantissimi siti hanno perduto memoria storica.

Sono una gigliese, anzi gigliesA, che si commuove vedendo il tetto di un Palmento sfondato dalla ginestra spinosa o dal lentisco. Mi commuovo allargando la vista all’immenso patrimonio perduto delle vigne, divenute tappeto di rovi e se, lungo il sentiero che conduce da Pardini Hermitage, trovo un gruppo di asini pascolanti sereni, anello di una lunga, lunghissima catena di storia e di lavoro con l’uomo, sono immensamente grata a Ghigo, per offrirmi una visione che apre ai semplici sentimenti.

Le realtà di lunga data, coatte nella ruvida armonia tra terra e mare, devono restare e non essere annientate con gesti che offendono la naturale dignità delle cose.

La capra, simbolo di tutte le isole del Mediterraneo, che ha dato il nome anche alla nostra, è esistita per secoli e secoli fornendo tutti i giorni latte, carne e vello, lavorato per scaldare piedi e spalle.

Le capre hanno camminato su terreni e zone impervie nel tempo della convivenza naturale anche se, a volte forzata, con tutto ciò che rappresentava il mondo isolano.

Oggi, come simbolo di quel tempo, abbiamo i mufloni, (pochi), arrivati per gioco voluto dagli adulti, ma rimasti per muta accoglienza (e chiamiamola pure indifferenza da parte di molti, che significa: non disturbanti).

Perché eliminare la vittima dei nostri errori?

Venite forestieri all’isola del Giglio- cantava con chitarra e voce sommessa, tanto tempo fa, Beppino, figlio di Culisse, e, nel suo “forestieri” forse intendeva anche lo splendido animale dall’aspetto maestoso, ma mite e pauroso che, avere la fortuna di coglierlo nel lampo del suo passaggio, dà la sensazione di ancestrali conquiste.

Di simbiosi, che supera di gran lunga la mera e tragica soddisfazione di caccia col fucile.
Il fucile non deve essere puntato verso il muflone. Mai.
Il muflone non deve essere incatenato e strappato ai lecci, ai dirupi. Ai nostri sogni.
Il muflone deve restare sull’isola perché è gigliese.
Il muflone ammazzato su terra gigliese, peserà sulla coscienza di chi non ferma tale misfatto, perché l’animale, rappresenta il ritorno ai primordi della vita che ognuno di noi, isolani e non, cercano disattesi dalle troppe superflue modernità che hanno intasato pure il nostro amato scoglio.

Palma Silvestri