La cultura siamo noi, mi sono detta quando ho incontrato un uomo con trapano e granito fra le mani, al Pianello. Il silenzio dei cipressi e la luce dei marmi parlavano al cuore di chi pregava sulla tomba del proprio caro, lassù, nel cimitero del paese, al Castello.
Intanto, assorto nel suo lavoro, il marmoraro tesseva una tela di intarsi, dove l’onice giocava con la luce del mezzogiorno, l’alabastro mostrava trasparenze  indefinite, e la pietra dorata accecava il sole al suo zenit.
Forse eravamo già in paradiso. Un paradiso circondato dal mare azzurro e sospeso nel cielo che più celeste non c’è .
No.
Io ero io e lui era lui, Paolo, un “cosmatesco” dei giorni nostri, che preparava una pietra tombale, su ordinazione.
“Lei è un cosmatesco, vero?”
“Sì, sono un cosmatesco, ma non vengo direttamente dal Medioevo.”
Stavo parlando con un artista del marmo, che filtrava il fluido misterioso, che oggi chiamano DNA, dei lontani marmorari romani. Artigiani di ieri e artigiani di oggi, senza soluzione di continuità. All’inizio, ignoti scalpellini al servizio di Roma, caput mundi. In seguito, botteghe e famiglie di scultori “senza arte” come i Cosma del XII secolo, al servizio di Dio, nei templi cristiani. Oggi, maestri del marmo al servizio di tutti.
“Onorata, maestro, di averlo incontrato.”
“Venga a trovarmi in bottega, a Capalbio, vedrà cose che la stupiranno.”
Chiudo il cancello del piccolo cimitero, e mi avvio …
Il mio sguardo torna a lui.
Mi volto di nuovo verso il luogo del silenzio, lo ri-vedo. Mi saluta.
“Ciao, Paolo. La Storia continua”.

Fiorella Colosi