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Il Giovedì Santo di Domenico, detto Bettino
Il Giovedì Santo di Domenico, detto Bettino

Viveva nel paese in cui era nato alla fine dell’Ottocento. La sua casa, una stanza che fungeva da tutto, si raggiungeva tramite una lunga scalinata senza ringhiera. Domenico, vecchio e solo, conduceva una vita nella miseria più squallida peggiorata dal suo modo di essere scontroso, immusonito, che sputava per terra. Nei giorni festivi veniva allietato da un piatto di pasta al sugo di carne portato dai paesani di buon cuore; non li faceva entrare, allungava una mano borbottando qualcosa e richiudeva l’uscio.

Andava a pescare a cannella cuocendosi direttamente il pesce sullo scoglio.

novena giovedì santo isola del giglio giglionews palma silvestriPiù o meno, abbiamo tutti una stella che accompagna il nostro cammino; si nasconde dentro di noi la stella della giovinezza che fa sognare, che porta gioia, progetti anche da grandi… e anche il nostro uomo ce l’aveva, brillò forse troppo brevemente: una stella soffocata dal dolore? Lui, che aveva affrontato battaglie vere con fucili e bombe a mano, non accettò la battaglia della vita… Era stato bel giovanotto pieno di energia con dei propositi fattivi…

A dire la verità avrebbe potuto essere con la famiglia creata da lui stesso se la fidanzata, quella a cui aveva chiesto la mano lo avesse aspettato in tutto quel tempo del militare, poi allungato dalla prima guerra mondiale. Si era portato in battaglia la promessa di matrimonio e i caldi baci da restituire al ritorno. Ma così non fu perché la sua Ida morì di un male che in quegli anni devastava l’Europa decimando donne, vecchi. Bambini.

Non glielo avevano scritto a Bettino, militare al fronte, che la povera Ida non c’era più davanti all’uscio di casa, che non sostava più alla finestra per guardare i tramonti sognando il ritorno del suo ragazzo.

Finalmente, una paranza dalla terraferma lo sbarcò sull’isola un chiaro mattino di Aprile del 1918; all’uomo batteva forte il cuore. Con sé un regalo: un piccolo scialle ricamato a fiori rossi che la fidanzata avrebbe messo sui capelli alla processione di Pasqua; nella spinta di rivedere tutti, ma soprattutto, Lei, la strada di casa fu una passeggiata. 

Non disse niente Domenico ai genitori singhiozzanti, ai vicini, che lo accolsero dispiaciuti, ma distratti dalle faccende pasquali.

Mise lo zaino da una parte e in silenzio scese per la mulattiera che porta al cimitero.

Era giovedì santo, prima del crepuscolo il campanile della parrocchia avrebbe interrotto il suo suono, per riprenderlo a distesa, sabato notte; i paesani si stavano preparando per assistere alla cerimonia del lavaggio dei piedi, dove alcuni, vestiti con un lungo camice bianco, seduti sulla panca della chiesa aspettavano il passaggio rituale del sacerdote, come Cristo fece con i suoi apostoli prima di finire sulla croce.

Quanto Bettino arrivò al Pianello, aprì piano il cancello che separa i vivi dai morti e cercò; non era difficile, anche con gli occhi offuscati di lacrime, trovare l’amata; lui, ragazzino, aveva partecipato alla costruzione del nuovo camposanto portando i sassi in spalla… girò lo sguardo sul prato sagomato qua e là da cumuli di terra e una croce… Fu il cuore a spingerlo verso il suo angelo.  Era là, la sua povera Ida. Restò fino al tramonto Domenico, le ginocchia sprofondate sulla tomba quasi a volerla raggiungere.

Svanito il sogno legato al ricordo di quei caldi baci, e, aiutato dal suo carattere solitario e scontroso, Bettino, nella povertà dell’amore, prese la strada della rabbia. Del grido vuoto. Un uomo e la sua solitudine, che alla processione di “quella” Pasqua, mise stretto al collo il piccolo scialle ricamato a fiori rossi.

Palma Silvestri Racconto inedito della raccolta - Antichi racconti - di futura pubblicazione

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