La pesca industriale eccessiva (overfishing) è la più spietata, tecnologicamente avanzata e inarrestabile arma di distruzione ambientale che l’uomo è riuscito a mettere in campo. E’ però, nello stesso tempo, un pericolo che viene costantemente sottovalutato da chi si occupa di ambiente e ignorato da chi non vuole valutare il limite delle risorse naturali che l’imponente crescita demografica degli uomini mette ormai clamorosamente in luce. Molte specie ittiche sono ormai virtualmente esaurite, a partire dal merluzzo del Mare del Nord, che, dal lontano 1993, non viene in pratica più riscontrato nei famosi banchi di Terranova, una volta il posto più pescoso del mondo. E altre sono nella lista rossa delle specie in via di estinzione, prima fra tutte il tonno rosso, compreso quello delle popolazioni mediterranee. Ma non stanno meglio le specie che abbiamo comunemente mangiato fino a poco tempo fa: nessuno si accorge che la platessa comincia a mancare, semplicemente perché ora si pesca intorno ai sei anni di età contro i quaranta cui potrebbe arrivare. La sostituzione delle specie commestibili è in atto da tempo: il 90% dei pesci di grandi dimensioni è esaurito (secondo Nature) e quindi si consumano pesci sempre più piccoli e sempre più giovani. Ma se non ci si ferma, cioè se non si arresta la pesca su scala industriale, ben presto nel mare rimarranno solo le meduse (la cui presenza incrementa di anno in anno) e dovremmo abituarci a mangiare solo quelle. Il prezzo del pesce intanto aumenta, al contrario di quanto accade per i prezzi di maiali e pollame, perciò il mercato ancora si tiene, ma la pesca prevede solo la raccolta, non la semina, e se la popolazione mondiale volesse avere una dieta a base di pesce come quella dei giapponesi, già ora non ci sarebbe più pesce per nessuno. Un altro nemico da battere è la tecnologia: un tempo se volevi più pesce bastava raddoppiare le navi. Oggi, se aumenti le navi, raccogli la metà del pesce, visto che le moderne attrezzature consentono di inseguirlo e pescarlo ben al di là delle “competizioni” normali. Ci sono poi le catture accidentali, che in mare sono la regola, che, nel caso dei gamberi, arriva all’85% del totale: circa un terzo del pescato (27 milioni di tonnellate), finisce, morto o in cattive condizioni, di nuovo in mare. Insomma gli effetti della pesca industriale sono molto peggiori di quelli dell’inquinamento.
Se questi sono i dati, la risposta è una sola e si chiama aree marine protette, dove il turismo e la piccola pesca rendono addirittura molto di più rispetto al sovrasfruttamento, come dimostrano i casi delle isole oceaniche, dalle Hawaii alle Fiji. La protezione del mare in quelle isole è rigida, così come pure lo è in alcune isole atlantiche in cui la pesca locale vede crescere di dimensioni le catture e di abbondanza il pescato. In queste aree la pesca subacquea è giustamente vietata, perché una cernia viva viene vista da migliaia di persone, una morta viene mangiata solo da tre o quatro. Ma solo l’1% del mare è protetto al mondo e in Italia le cose non vanno meglio, con 25 aree marine ancora solo sulla carta. Non solo, in questo contesto al Ministero dell’Ambiente si istituiscono tavoli tecnici che non tengono conto nemmeno delle istituzioni locali, come è il caso del Parco dell’Arcipelago Toscano. Per questa ragione vorrei divulgare il testo di una lettera che ho rivolto, come Presidente del Parco, al Presidente della Repubblica qualche tempo fa. Perché si ricominci a fare protezione del mare e non solo a parole.
"Caro Presidente,
facendo seguito al nostro incontro a Castelporziano in occasione della giornata delle oasi del wwf, mi permetto di far presente alla Presidenza della Repubblica tutta la preoccupazione mia, e di chi ha a cuore la protezione della natura e del mare nel nostro Paese, per il tentativo che si sta facendo di aprire alla visita le aree marine di riserva integrale che, oltretutto, dipendono direttamente dalla firma del Presidente della Repubblica. Le aree marine protette consentono già la visita subacquea a tutte le zone, ma le aree di protezione integrale (che sono una limitatissima percentuale, pari al 10%, massimo, del settore tutelato) debbono restare fuori dal disturbo arrecato dalle visite perché sono proprio i polmoni attraverso cui il resto del mare respira: per intenderci, più cernie e orate, o più aragoste, dipendono solo dal fatto che hanno la possibilità di riprodursi in pace. Aprendo alle visite le aree di riserva integrale, le stesse aree marine protete non avranno più alcun senso. Per questo le chiedo, nel rispetto dei ruoli istituzionali, di vigilare sull’operato di tutti coloro che, ignorando i principi naturalistici elmentari, vorrebbero stravolgere le regole, producendo così un danano difficilmente riparabile.
La ringrazio e le porgo i miei saluti più cordiali
Mario Tozzi"
MARIO TOZZI SCRIVE AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Autore: di Mario Tozzi, Presidente PNAT Arcipelago Toscano
0 Commenti
Per commentare occorre accedere con le proprie credenziali al sito www.giglionews.it
Login
Non riesci ad accedere al tuo account? Hai dimenticato la password?