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Giornata di festa oggi per commemorare il 18 Novembre di quel fatidico 1799 quando i gigliesi “pochi di numero e quasi inermi” riuscirono a mettere in fuga gli assalitori tunisini giunti nel golfo del Campese con due fregate da 40 e 32 cannoni e cinque sciabecchi, due da 24 cannoni e tre da 18, tutti battenti la bandiera della mezza luna. La data è molto importante perché segna l’ultima incursione dell’oriente mussulmano sull’occidente cristiano dopo secoli di scorrerie a carattere predatorio, facendo finalmente riacquisire alle nostre coste quella tranquillità indispensabile al progresso civile.

Eppure i gigliesi erano abituati alle incursioni piratesche ricordando quella più tragica del 1544 quando i tunisini, al comando dell’ammiraglio del sultano turco Ariadeno Barbarossa, espugnarono l’isola facendola incendiare, decapitando le autorità del paese compreso il prete e conducendo come schiavi a Costantinopoli più di settecento abitanti, stipati nelle stive delle navi, tanto che la maggioranza morì di peste durante il viaggio.

L’incursione del 18 novembre avrebbe potuto avere un esito diverso se chi era preposto alla sicurezza si fosse comportato in maniera diversa. Rimane il dubbio storico che la Torre del Campese non abbia risposto in maniera decisiva all’incursione barbaresca. In alcuni manoscritti dei quali uno di proprietà di un certo Giovanni Zanella ed inviato al Granduca ci si lamenta della “procedura e pessima maniera di operare praticata dal tenente cappellano della Torre Campese nel giorno che diedero l’assalto i turchi”. E l’ingiusta clemenza nei suoi confronti e di altri “che poco in detto giorno agirono”. Per quale motivo la Torre replicò all’assalto sparando solamente quattro cannonate e poi abbandonò vergognosamente la batteria con grande meraviglia e stupore del popolo spettatore?

Eppure i gigliesi spararono per più di sette ore dai torrioni di Giglio Castello specialmente sopra la Casamatta che resta in faccia alla Torre mentre da quest’ultima “non si degnò tirare neppure una sfingara”. Anche l’arciprete che magari in quel momento poteva dare il proprio apporto spirituale alla vicenda non è che si comportò eroicamente, anzi non appena vide che i tunisini erano sbarcati al Campese e la Torre non rispondeva al fuoco “se ne scappò al Porto e da una barchetta si fece portare a Santo Stefano”.

Lo sconcertante comportamento tenuto dai torrieri del Campese - così come ci riporta Gualtiero Della Monaca storico di Porto S.Stefano – dai quali ci si sarebbe aspettata una veemente reazione tesa ad impedire o quanto meno contrastare lo sbarco dei pirati, non può essere addebitato solamente al fatto che il presidio era composto da soli sette soldati, settantenni. Il vero motivo fu spiegato qualche tempo dopo da un cannoniere, tale Giacomo Modesti, presente nella Torre al momento dell’attacco. Costui, come si legge in un documento conservato nell’archivio storico comunale, riferì che la responsabilità di quel comportamento andava addebitata al Castellano della Torre del Campese, il Tenente Emanuello Pellegrini, il quale per essere filo-francese era un ribelle di S.A.R. Ferdinando III di Lorena (1769-1824). D’altra parte la precaria situazione politica del momento, con i Francesi che da un giorno all’altro sembrava dovessero tornare ad essere padroni della Toscana – come infatti avvenne di lì a poco – faceva sì che sulla effettiva fedeltà al Granduca da parte di alcuni dei suoi sudditi gravasse più di un ragionevole dubbio.

Come si vede la vicenda ebbe poi dei risultati sorprendenti ed il coraggio degli isolani uniti alla fede per San Mamiliano, Patrono dell’isola, ebbe la meglio sugli invasori e da quella data ogni anno al Giglio si festeggia “San Mamiliano dei Turchi” proprio per ringraziare il Santo Patrono che secondo la credenza popolare fece apparire miracolosamente sulle mura del Castello una moltitudine di soldati che spaventò i tunisini mettendoli in fuga.

Il 18 novembre  del 1899 il Gigliesi celebrarono il primo centenario di quella gloriosa azione con solenni festeggiamenti. Il Cardinale Luigi Oreglia di Porto S.Stefano volle contribuire con 50 lire, ma si scusò di non poter intervenire personalmente, inviando al suo posto il Vescovo di Pitigliano Mons. Michele Cardella. Questi era presente quando fu collocata una lapide sulla facciata del palazzo comunale, con incisa nel marmo la seguente epigrafe: “ALLA MEMORIA DEI GIGLIESI CHE POCHI DI NUMERO QUASI INERMI IL 18 NOVEMBRE 1799 RESPINGEVANO FUGANDOLI DUEMILA TUNISINI. CENTO ANNI DOPO IL CONSIGLIO COMUNALE A PERENNE RICORDO DECRETAVA IL 18 NOVEMBRE GIORNO FESTIVO”.

Un’altra lapide fu posta alla Torre del Campese, appena acquistata dal Cap. Enrico Alberto d’Albertis, noto per essere proprietario dello jacht Corsare, il quale nell’occasione fece illuminare la torre con fuochi di bengala: “HOSTIBUS INFESTA PATET AMICIS / QUESTA TORRE DEL CAMPESE ERETTA DA FERDINANDO I DEI MEDICI NELL’ANNO M.D.C. VIDE LE ULTIME FUGGENTI CIRME BARBARESCHE. IL XVIII NOVEMBRE M.D.C.C.C.I.C. TRASCORSO UN SECOLO ESULTANTE IL POPOLO GIGLIESE PEL GLORIOSO RICORDO. IL CAPITANO ENRICO ALBERTO D’ALBERTIS ACQUISTAVA RESTAURAVA INAUGURAVA M.D.C.C.C.I.C.”.

Nell’anno 1999 è stato festeggiato il Bicentenario dello sbarco dei Turchi con tutta una serie di manifestazioni culturali e artistiche culminate con la venuta al Giglio delle Autorità Tunisine e la firma di un protocollo che ha rinsaldato l’amicizia fra i due popoli. Per la giornata di oggi è prevista una solenne cerimonia nella chiesa di Giglio Castello con l’esposizione di tutte le armi abbandonate dagli invasori, che avrà come culmine la processione intorno alle mura e la benedizione con la reliquia del Santo proprio in direzione della baia di Giglio Campese dove nel lontano 1799 i turchi sbarcarono ma furono ricacciati dall’eroismo del popolo gigliese.

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Alvaro Andolfi