Continua il dibattito tra esperti sul Progetto Life Let's Go Giglio e sulla tutela della biodiversità dell'Isola del Giglio messa in difficoltà dalla presenza di specie aliene ed invasive. Ad intervenire oggi il botanico di fama internazionale prof. Alessandro Chiarucci a cui abbiamo rivolto qualche domanda.
Chi è Alessandro Chiarucci? - Dal 2014 Professore Ordinario di Botanica Ambientale e Applicata presso l’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, dove è stato anche eletto come il prossimo Direttore del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali. Presidente della Società Botanica Italiana, una delle più grandi e antiche società scientifiche naturalistiche del Paese, e Chief Editor (Direttore) delle due riviste scientifiche della Associazione Internazionale Scienza della Vegetazione (IAVS): Journal of Vegetation Science e Applied Vegetation Science. È membro della Comunità Scientifica del WWF Italia. Si occupa di biodiversità vegetale in ambito macroecologico e biogeografico, con attenzione alle strategie di conservazione biologica. Ha effettuato studi su diversi habitat ed ecosistemi, pubblicando molti lavori scientifici sulla biodiversità vegetale vari sistemi insulari del mondo, e anche sull’Arcipelago Toscano.
Prof. Chiarucci quando si parla di specie aliene che possono creare problemi alla biodiversità si pensa sempre agi animali, ma anche le piante possono essere un problema?
Certamente si. Ricordiamoci che le piante costituiscono circa l’80% della biomassa presente sul Pianeta Terra. Inoltre, negli ecosistemi terrestri, la vegetazione rappresenta un elemento fondamentale della struttura fisica di gran parte degli habitat e ne determina il funzionamento. Pertanto la presenza di specie aliene invasive nella vegetazione trasforma profondamente la struttura e il funzionamento di molti habitat, generalmente con conseguenze negative. Oltre alla distruzione degli habitat, l’uomo sta determinando una progressiva omogenizzazione biotica degli ecosistemi naturali, proprio a causa della diffusione delle specie aliene, e questa rappresenta una delle prime cause di perdita di biodiversità. Nella famosa lista delle 100 specie aliene più pericolose pubblicata dalla IUCN, ben 36 sono le specie di piante e alghe, a fronte di 8 specie di funghi e microrganismi, 26 specie di invertebrati e 30 specie di vertebrati.
Conosce il progetto Let’s go Giglio?
Si, lo conosco. Si tratta di un progetto Life finalizzato al miglioramento delle condizioni di specie e habitat nativi dell’Isola del Giglio, attraverso alcune azioni mirate di ricostituzione degli habitat, aiuto alle popolazioni native e rimozione delle specie aliene invasive. Come tutti i progetti di questo tipo, lo scopo è quello di effettuare un’azione mirata ad una o più specie target, cioè specie che sono considerate importanti dalla Direttiva Europea Habitat, cercando di ottenere benefici anche per altre specie importanti del medesimo ecosistema o habitat. Si tratta di progetti molto difficili, per via dei numerosi fattori difficilmente controllabili, ma che hanno importanza specie in situazioni particolari come gli ecosistemi insulari.
Nel progetto Let’s go Giglio hanno destato molto scalpore gli interventi sul Carpobrotus, che peraltro fa un fiore bellissimo. Ma è davvero cosi dannoso?
Il Carpobrotus è un genere di piante alloctone nel Mediterraneo, introdotte dal Sud Africa, e diffuse per fini ornamentali. Al Giglio sono presenti due specie di Carpobrotus, entrambe conosciute come fico degli ottentotti: il Carpobrotus acinaciformis, a fiore rosa, e il Carpobrotus edulis, a fiore giallo. Si tratta di due specie anche apprezzate dall’uomo, ma molto invasive nei delicati habitat costieri nei quali vanno ad insediarsi. Molti studi effettuati nel mediterraneo, anche a cura di un importante Gruppo di Ricerca di RomaTre, hanno dimostrato come la presenza di Carpobrotus sia dannosa per gli habitat costieri, determinando riduzione di biodiversità e trasformazioni nei processi biogeochimici del suolo. Tutti gli esperti sono concordi nel raccomandare politiche di contenimento o, ove possibile, di eradicazione totale. Simili progetti sono in corso in altre aree del Mediterraneo, come ad esempio l’isola di Bagaud in Francia, dove la rimozione del Carpobrotus è iniziata 10 anni fa a la vegetazione mostra adesso chiari segni di ripresa.
Quali sono le piante importanti per la conservazione che possono essere danneggiate dalla presenza del Muflone?
Il muflone presente all’Isola del Giglio rappresenta una specie introdotta in tempi recenti che ha avuto, e continua ad avere, effetti nefasti sugli habitat naturali. Si tratta di una forma inselvatichita della pecora domestica, diffusa in modo un po’ spregiudicato per fini venatori, senza prendere in considerare gli effetti, peraltro ben conosciuti, sulle comunità vegetali. In un ecosistema circoscritto e senza predatori, come quello di un'isola, le popolazioni di grandi erbivori introdotti tendono a crescere in modo incontrollato generando una pressione diretta e indiretta su specie vegetali e habitat, con la conseguenze scomparsa di varie specie. Al Giglio ad esempio, le specie di orchidee storicamente presenti e recentemente non ritrovate sono diverse, tra le quali da segnalare la piccola e bellissima Spiranthes aestivalis. Il muflone potrebbe essere una delle cause principali di queste perdite.
Cosa pensa delle possibilità di eliminazione delle specie aliene e di ricostituzione delle comunità native al Giglio?
In generale, tutte le flore insulari dell’Arcipelago stanno subendo una progressiva trasformazione a causa del cambiamento di gestione del suolo, ma soprattutto della invasione di specie aliene. In uno studio che abbiamo pubblicato nel 2017 sulle trasformazioni della flora delle isole dell’Arcipelago Toscano è emerso come tutte le isole abbiano subito un progressivo aumento della percentuale di specie di piante aliene. La specie aliene nella flora del Giglio, ad esempio, sono passate nell’ultimo secolo dal 4% al 12%, e questo è certamente un elemento negativo. Le isole sono in tutto il mondo ecosistemi delicati e molto soggetti ad invasioni biologiche, ma rappresentano anche dei luoghi ideali per eliminazione delle aliene. Progetti di eliminazione di aliene e salvaguardia di specie native sono effettuati in molte isole del Pianeta, dalla Nuova Zelanda alle Hawaii. Non entro nel merito delle tecniche adottate dal progetto, che non conosco in dettaglio, ma la rimozione di specie aliene invasive è senza dubbio un'azione importante per fini conservazionistici. Specialmente in aree protette, l’eradicazione delle specie aliene e la tutela degli elementi nativi dovrebbe essere un elemento prioritario per le politiche di gestione.
Buongiorno Professor Chiarucci dopo aver letto attentamente le sue dichiarazioni concordo a pieno con il Signor Zanon e Rossi, con le loro osservazioni e domande rivolte a Lei a proposito dell’”Affare Muflone Gigliese” , un’espressione quest’ultima tipica di come si definirebbe in 3 parole la questione dell’eradicazione in generale, proprio usando una dialettica popolare, per abbreviare il tutto, tipica tra noi Gigliesi residenti.
Non addentrandomi nel merito delle affermazioni botaniche, sulle quali non posso che registrare le note dello scrivente mi preme sottolineare ancora una volta l'errore madornale da lui affermato nelle parole:" Si tratta di una forma inselvatichita della pecora domestica, diffusa in modo un po’ spregiudicato per fini venatori, senza prendere in considerare gli effetti, peraltro ben conosciuti, sulle comunità vegetali. " Il muflone non è una pecora ferale e chi lo afferma, non ha una preparazione scientifica adeguata su argomenti di zoologia . Anche l'affermazione che il muflone sia stato diffuso per meri fini venatori è completamente errata e svilisce molte delle istituzioni coinvolte a livello italiano ed Europeo in operazioni di rilascio di questo importante ungulato .Viene dipinto un quadro assurdo dove si liberano animali a caso in aree di alto valore biologico senza alcun criterio . Mi sorgono inoltre forti dubbi sulle sue affermazioni sulle orchidee, poiché la specie da lei citata nella distribuzione riporta: "tipico per queste orchidee sono i prati torbosi; ma anche le torbiere basse, prati e pascoli igrofili (da umidi a bagnati)". Chi è uno zootecnico come me ha sempre rilevato un aumento delle orchidee da imputare allo sfalcio ed alla azione di pascolo . Nel testo della conservazione delle orchidee spontanee lombarde addirittura si afferma: "Le persone più importanti per la conservazione delle orchidee dei prati sono spesso coloro che, nonostante le difficoltà, continuano con l’attività tradizionale di pascolo e sfalcio dei prati. Da quanto ho rilevato mi vengono molti molti dubbi sulle sue affermazioni che ho voluto condividere con i lettori per farsi un idea più precisa su tali argomenti e sulle affermazioni di ognuno. Alessio Zanon Medico Veterinario
Gentile Dr Chiarucci, grazie per questa sua delucidazione. Questi articoli su GiglioNews stanno aiutando noi cittadini a capire meglio le questioni tecniche legate a dei progetti, come LetsGoGiglio. Avrei delle domande riguardo alcune sue affermazioni. Spero non le dispiaccia rispondere in modo da aiutarci a capire meglio le possibili motivazioni dietro a questo tipo di interventi di eradicazione. Nella sua intervista lei sostiene che il Muflone possa essere responsabile per la perdita dell’orchidea spontanea del Giglio. Secondo uno studio (di Parcorobie) prodotto da un consorzio di organizazzioni conservazioniste, tra cui il WWF (con cui lei collaborerebbe, se ho capito bene dall’introduzione dell’intervista) sembrerebbe sostenere la tesi contraria, ossia che gli ungulati abbiano un impatto favorevole sulla proliferazione delle orchidee selvatiche (‘spontanee’). Sembrerebbe infatti che nelle isole mediterranee, dove sono presenti gli ungulati, le orchidee proliferino. Su che basi scientifiche basa questa sua dichiarazione che contraddice lo studio ed altri dati? Esistono degli studi che dimostrino che, a differenza degli altri ungulati, il Muflone si cibi di queste orchidee e che rappresenti una minaccia per la loro sopravvivenza? In una recente intervista su Repubblica (25 marzo), Giampiero Sammuri, presidente dell’Ente Parco, ha dichiarato che non e’ stato condotto alcuno studio scientifico sul Giglio che provi l’invasività dei 25 mufloni presenti sull’isola. E' utile forse notare che in uno studio del 2017 sull’Elba (Università di Firenze), dove i mufloni sono circa 500, gli autori hanno concluso che l’impatto del Mufloni sulla biodiversità dell’isola era troppo esigue per poterlo definire ‘invasivo’. Nella sua intervista di oggi però lei dichiara che il Muflone sia una specie invasiva. Come sottolinea l’ISPRA a seguito di un progetto Europeo da esso condotto e mirato all’educazione dei cittadini sulle specie alloctone ed invasive - progetto Life ASAP - l’invasività di una specie alloctona dipende dal contesto in cui vive e dalle specie autoctone presenti nello stesso habitat. Non si potrebbe dunque definire 'a priori' invasiva una specie alloctona, conclude l’ISPRA. L’ISPRA sottolinea come infatti in Italia siano presenti oltre 3000 specie alloctone, ma solo il 15% risultano invasive (con vari gradi di invesività). Se studi sul Giglio non sono stati condotti, e sull’Elba i 500 mufloni non sono risultati invasivi a seguito di studi scientifici, come mai lei ha scelto di definire invasivo il Muflone del Giglio? La ringrazio anticipatamente per le sue risposte. Carlo Rossi - Amante del Giglio