Un'isola non per invecchiare in serenità
Il tessuto sociale di ogni luogo è formato dalle persone che vi abitano determinando la storia e ognuno, a modo proprio, ne è protagonista. Ci sono persone che nel quotidiano emergono a cielo aperto, in maniera eclatante; altre invece vivono la piazza come fosse casa loro commentando fatti, misfatti dei concittadini e altre ancora, all’opposto, scompaiono alla vista, alla confidenza pur vivendo ruoli utili, spesso determinanti ai problemi da risolvere nell’immediato; senza un preciso programma.
Tali persone accettano l’impegno in silenzio piegando la schiena, dedicandosi al compito con estro e bravura senza mai contestare il tempo portato via alla propria vita privata; sono persone importanti, che stanno al servizio della società chiedendo in cambio sempre meno di ciò che il loro valore richiederebbe. Questo ultimo è il caso di Alma Bancalà di Fattorello, sartina molto attiva a Giglio Castello negli anni ’80/90. Alma viveva in una casa dalla famiglia allargata; una casa costruita fuori porta (piazza Gloriosa), ai primi del ‘900 dal nonno Fattorello che fece fortuna in Argentina.
Le spalle ornate da fili di cotone colorati; ritagli di stoffe, spilli e sigarette dai mille colori ovunque; la sartina prendeva le misure alle clienti sempre annuendo su ciò che chiedevano. Proponeva una data per la prova ma al sollecito di anticipare annuiva magari contando sulle ore serali o notturne. La sua figura, molto carina in gioventù, dalla voce fine e chiara era piccola e rotondetta. Non si era mai sposata e non so se qualche palpito abbia mai ravvivato il suo cuore, ultimamente molto malato; le auguro di si perché l’amore è il motore che meglio influisce sull'animo umano e di conseguenza sulla benevolenza del carattere.
Da buona gigliese, la sartina non aveva perso l’antica abitudine di stendere la biancheria all’aperto nei luoghi comuni: teneva una corda sotto il murello della stradanova (la strada provinciale), nel tratto che guarda la fonte dell’acqua Selvaggia. Alma non era l’unica sarta in quel periodo storico del Castello: c’era Irma Rossi detta con simpatia Irmetta perché anche lei piccola di statura. Due donne nubili, diverse di carattere e di storia famigliare con la stessa professione che nella vita paesana avevano poche occasioni d’incontro abitando Irma alla Casamatta, la parte alta del paese, il destino ha voluto portarle ormai anziane, nella stessa casa di riposo fuori dall’isola. So che hanno sofferto per questa lontananza dal proprio focolare; pur amate e visitate regolarmente dai parenti e nipoti, hanno pianto e sperato di tornare, soprattutto Irma dal carattere battagliero e vivace. Strappi che fanno molto male al cuore. Ma quando si diventa vecchi con gli acciacchi e non più indipendenti, dobbiamo andarcene, anzi, ci portano via dalla nostra isola perché priva di strutture adeguate ad assistere l’anziano e chi vive solo di memoria con la familiarità degli oggetti usati tutta una vita, deve dimenticare la logica umana; quella serenità, che piano piano conduce a morire nel proprio letto.
Sentite condoglianze ai familiari della cara Alma.
Palma Silvestri
Ciao Franca, io ricordo, verso i primi anni ’80, che l’allora arciprete del Castello, don Andrea Rum, seguiva personalmente un progetto simile a quello da te descritto. L’isola in quel tempo era molto popolata di “nostrani sulla via della senilità”. Don Andrea puntava su due strutture: la Pubblica Assistenza, situata in largo Loredano Baffigi e l’ex Asilo oggi Laudato si’. La gente ne parlava con entusiasmo anche perché avrebbe creato posti di lavoro; anche io ci ho creduto, ma, purtroppo, tutto si è spento come la vita del povero Don avvenuta in quella maniera che ci lasciò addolorati e allibiti. Un abbraccio.
Cara Palma ti do tanta ragione su ciò che hai scritto, nel paese della mia nonna, Laconi in Sardegna c'era già negli anni 60 una casa di riposo. Durante il giorno specialmente le donne o vedove o signorine venivano ccompagnate nelle loro case, naturalmente se erano di proprietà e allora erano quasi tutte di proprietà, passavano la loro giornata in casa poi nel pomeriggio tornavano, allora li chiamavano ospizi, oggi RSA, dove cenavano e dormivano. La facilità con cui si levano e si strappano dai loro ricordi, dalla loro vita gli anziani oggi è devastante. È vero alcune situazioni non trovano altre soluzioni, però penso che si sarebbe potuto creare una struttura che avrebbe permesso a queste persone di vivere diversamente e non in solitudine i loro ultimi anni. Troppa tristezza e delusione leggere il tuo scritto, troppi dolorosi ricordi. Franca Melis