Sull’Isola del Giglio ci sono tracce fossili di “tremori episodici e scivolamenti lenti profondi”
Si tratta di fenomeni con un segnale sismico persistente di bassa magnitudo, forse collegati, nel tempo e nello spazio, a veri e propri terremoti: quelli individuati sarebbero avvenuti circa 20 milioni di anni fa e a 30 chilometri di profondità
In alcune rocce dell’isola del Giglio potrebbe essere custodito il registro fossile di “tremori episodici e scivolamenti lenti profondi”: particolari fenomeni sismici scoperti solo pochi anni fa e forse collegati, nel tempo e nello spazio, a veri e propri terremoti di più grande magnitudo. Ad individuare queste tracce sono stati due studiosi dell’Università di Bologna – Francesco Giuntoli e Giulio Viola – che hanno ora riportato i risultati in un articolo su Scientific Reports, rivista del gruppo Nature.
“I tremori sono un segnale sismico persistente di bassa magnitudo che spesso è associato a scivolamenti lenti caratterizzati da velocità maggiori rispetto al movimento medio delle placche tettoniche”, spiega Francesco Giuntoli. “Si tratta di fenomeni di durata molto variabile, da alcuni giorni fino a diversi anni, che possono dissipare gran parte dell’energia legata alla convergenza delle placche: nel caso degli Appennini, quella africana e quella europea”.
Quelle individuate dagli studiosi sull’isola del Giglio sarebbero quindi le testimonianze di questi fenomeni, avvenuti circa 20 milioni di anni fa e a 30 chilometri di profondità. In particolare, alcune vene minerali di carfolite potrebbero rappresentare un archivio fossile dei tremori, mentre l’intensa deformazione che si può vedere nelle rocce circostanti potrebbe essere il frutto degli scivolamenti lenti avvenuti durante la subduzione della placca africana al di sotto di quella europea.
“Abbiamo documentato recentemente strutture simili anche nella zona di Siena”, aggiunge Giuntoli. “L’ampia distribuzione spaziale di queste strutture fossili ci suggerisce quindi che i tremori episodici e scivolamenti lenti profondi fossero fenomeni comuni all’intera catena montuosa appenninica”.
La possibilità di studiare queste strutture fossili antichissime, ora esposte in superficie, può permettere di effettuare osservazioni e ottenere dati su fenomeni che altrimenti sarebbero investigabili sono con analisi indirette, dato che avvengono solitamente a grandi profondità. Gli studiosi suggeriscono quindi che analisi come quella realizzata all’isola del Giglio possono essere ripetute in molte altre zone del pianeta che presentano formazioni simili, dalle Alpi alla Turchia, da Creta all’Oman, dalle Svalbard alla Nuova Caledonia.
Lo studio è stato pubblicato su Scientific Reports con il titolo “A likely geolocial record of deep tremor and slow slip events from a subducted continental broken formation”. Gli autori sono Francesco Giuntoli e Giulio Viola del Dipartimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali dell’Università di Bologna.
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