"Navi e comandanti": intervista inedita a Paolo Muti
Vi presentiamo di seguito un'intervista-racconto della collega Laura Tabegna realizzata con Paolo e Rosalba Muti pochi giorni dopo il naufragio Costa Concordia e mai pubblicata. Attraverso il parallelo con la tragica notte del naufragio di cui Rosalba e Paolo sono stati testimoni e protagonisti dei soccorsi, insieme a tutti gli altri gigliesi, la giornalista ripercorre alcuni fasi fondamentali della vita di Paolo Muti ed il suo legame con l'Isola del Giglio.
"Sono le 21,30. A Toronto è mattina e Francesca sta per chiamare. Lo squillo del telefono fa correre Rosalba. Paolo invece è fermo davanti alla finestra di casa, al mare che gioca con la luna. La baia del Saraceno è illuminata da una dolce notte d’inverno. Ma Paolo non è cullato dalla quiete. Troppo abituato a puntare lo sguardo oltre. Rosalba invece è il cuore di una casa piena di foto, di colori, di affetti. Un colpo di silenzio assoluto rompe il rituale. “La nave … corri alla finestra!”. Di solito le crociere che si accostano al Giglio portano scie di flash, saluti dal ponte, un suono di sirena festoso. Invece davanti agli occhi di Paolo passa lento un gigante bianco. Sembra una nave fantasma. Senza comando. Troppo vicina. Paolo è in piedi, segue la traiettoria. Rosalba gira lo sguardo, e il respiro rimane soffocato. Francesca è in Canada ma il suo cuore sta battendo per il Giglio.
La bobina, all’improvviso, si riavvolge. La Biancamaria veniva dall’Elba. Il suo destino, però, sarebbe stato quello di “servire” le acque gigliesi. Piccola e fiera, l’orgoglio del suo capitano Giuseppe. Era da poco passata la guerra e l’isola del Giglio sembrava ancora più lontana dalla terraferma. I gigliesi dovevano lavorare e per approvvigionarsi bisognava aspettare giorni. La Biancamaria era una nave da paranza, la sua vocazione era la pesca. Certo che ai gigliesi non sarebbe dispiaciuto avere una nave tutta per loro, deve aver pensato allora Giuseppe. Reclutato sull’isola e imbarcato il primo equipaggio, la bella paranza iniziò il via vai sulle acque azzurre da Santo Stefano a Giglio Porto… finalmente con attracco al molo! Non più al largo con le scialuppe da sbarco. Grazie comandante … Fu lei la pioniera, seguita, nel tempo, dalla storica Aegilium e dalla Giuseppe Rum. La vita di un’isola si racconta sul mare. Nelle continue traversate, i gigliesi hanno scandito la loro vita. Storie che sanno di salmastro, accarezzate dal vento, agitate dall’onda lunga o sbattute dalla tempesta. Sul ponte della Biancamaria, mentre il babbo era al timone, Paolo vide per la prima volta il Giglio.
Gli occhi sono sempre gli stessi, nonostante gli anni. Sgranati, curiosi, così espressivi da poter passare in un attimo dalla severità all’ironia. Anche il mare è sempre lo stesso, ma questa notte rimarrà unica. La virata. Un colpo di coda. Le luci si spengono e si riaccendono. La nave è inclinata. Paolo è incollato al binocolo. Rosalba ha messo una vestaglia e scende sul molo. Arrivano le prime scialuppe. D’inverno il Porto è un blues di onde che sbattono sugli scogli e ritornano al largo. Movimenti ritmici per un tempo immobile. Adesso il Porto è una è piazza affollata. Sono tutti in abito da sera, ma non è una festa. La confusione è tanta. Rosalba si affida all’intuito, allo stesso istinto che le ha fatto crescere due figlie e amare quattro nipoti. Il brusio confonde le emozioni in un magma caotico. Voci che dirigono, che cercano, che chiedono. E il pianto dei bambini.
Già, i bambini. Un braccino emerge dal fango. La macchina riprende una scena che non andrà mai in onda. Sono immagini che raccontano la morte attraverso corpi che non hanno ancora trovato la dignità dell’ultimo saluto. L’esplosione, la violenza dell’acqua e le urla. Adesso il silenzio ha limato la paura. Rimane la distruzione. Paolo è arrivato per primo sul posto. E’ sceso da un elicottero che da Milano l’ha portato nel Vajont. La cinepresa sulla spalla. L’obiettivo a tutto campo. Certe scene però si possono filmare solo con l’anima. L’adrenalina sale, i battiti aumentano e prendono a cazzotti il cuore. Paolo si sveglierà spesso nel suo letto con quel tamburo dentro. Pensando al Vajont, alla guerra, alle vite spezzate dalla storia.
Rosalba ferma due giovani spagnoli. Hanno in braccio la loro bambina di otto mesi, che ha il pigiamino e piange. I loro sguardi persi nel vuoto.
«Entrate a casa, intanto vi scaldate».
Ma la coppia irremovibile aspetta che l’ ”organizzazione” della nave li richiami a bordo per ripartire. Fa freddo e nessuno, laggiù al molo rosso, ha il cappotto. Sandali, vestiti scollati. Arriva altra gente. E’ un viavai continuo di scialuppe dalla nave al molo. I naufraghi stanno invadendo il piccolo porto, senza rendersi conto di dove siano sbarcati. Sembra una babele. Lingue e vite diverse.
A casa di Rosalba c’è caldo e posto e lei accoglie chi può.
Il gatto nero guarda quegli estranei infreddoliti, sedersi sul suo divano. Non si scompone. È normale in quella casa vedere gente nuova. Domani anche questi ospiti se ne saranno andati, e lui potrà continuare a godersi la sua casa dipinta di rosa, con il portoncino verde sempre aperto. Le piante grasse riposano sul granito delle scale. Le luci della casa sono tutte accese. Francesca al telefono chiede alla nonna cosa stia succedendo, se stanno tutti bene. Anche a Toronto è già arrivata la notizia del naufragio.
Ai suoi tempi, pensava Paolo, le notizie arrivavano solo dalla Rai. Quelle sequenze in bianco e nero entravano nelle case degli italiani e soprattutto nell’immaginario dei sognatori. Grace Kelly è in arrivo al Principato di Monaco. Eccola, sta scendendo dalla nave. Pochi secondi di ripresa e la sua immagine è già icona di eleganza. Non è stato facile riprendere da vicino l’attrice principessa. Niente, però, al confronto delle botte e degli spintoni nelle piazze del ’68. Gli studenti li chiamavano spie; anche se ormai tra fotografi, operatori e ribelli bastava uno sguardo per capirsi. Il magnetismo della notizia non si stacca dall’obiettivo. Nemmeno nella corsa, diventata poi senza concorrenti, per riprendere la via Crucis di Paolo VI a Gerusalemme. Paolo, alla fine, è l’unico che riesce a filmare il Papa. Gli altri colleghi sono stati travolti dalla ressa. Una ripresa in grand’angolo e poi il dettaglio. L’obiettivo della telecamera è rimasto il ‘grande occhio’ di Paolo. Gli spintoni nella calca non ci sono più, nemmeno le corse nella guerriglia o tra gli spari. Però tutto è ancora dentro; e ogni tanto la forza dei ricordi è liberata dai sogni. La sfida e il coraggio restano nello sguardo, sempre pronto a catturare la realtà.
Paolo è sul divano, con gli occhi fissi al mare, alla nave. Rosalba, come al solito, ha avuto coraggio e ha aperto la sua casa. Con il sorriso, che non risulta stonato nemmeno di fronte alla tragedia. Lei, sempre in seconda linea rispetto alle acrobazie internazionali del marito, ma colonna portante dei sentimenti. Paolo, anche se non la sta guardando, sa che c’è.
Il loro è stato un amore “in scatola”. Ma prima di capirlo è dovuto passare tanto tempo. Si incontrarono al Giglio. Lui figlio del comandante, lei sorella più piccola di una delle ragazze che frequentavano Paolo. Rosalba faceva la spola per portare biglietti, libri e messaggi ai più grandi. Si divertiva. Aveva un bellissimo viso dolce e viveva i suoi quattordici anni piena di ammirazione per la sorella e i suoi amici. Paolo veniva dalla città, era alto, biondo e bello. Sapeva far divertire, e tra le ragazze era “di moda”. Al Giglio si andava tutti a ballare in piste improvvisate negli orti fra le greppe. Era uno di quei giorni di festa. Rosalba, ancora ragazzina, si divertiva a guardare gli altri ballare seduta tra i panchetti. Ad un certo punto Paolo si stacca dal suo gruppo. Si gira e cammina verso Rosalba. A lei batte forte il cuore, e appena lo vede arrivare davanti a sé scatta in piedi. È pronta per ballare con lui e per fantasticare su quel momento tutta la notte. Paolo si ferma e la guarda.
«Me lo passi un panchetto? Grazie».
Rosalba dà il panchetto e si risiede in mezzo ai frantumi della sua serata.
Gli anni passano. La ragazzina è diventata una giovane donna. Lei ha cambiato compagnia e Paolo la sua vita da scapolo. Sono diventati molto amici. L’estate in barchetta è tutta una risata. Il giovane operatore ha la fidanzata elbana, gelosa ‘persa’ di Rosalba. Senza motivo. O forse sì.
Un giorno Paolo torna da Genova al Giglio. Non ci sono più fidanzate. Lui si dichiara. Quella ragazzina è stata sempre nel suo cuore, ma il loro era un amore “in scatola”. Di quelli che all’inizio non si fanno riconoscere, ma poi durano per sempre.
Ora, Paolo e Rosalba guardano dalla finestra la balena bianca. Ferita dallo scoglio, sembra riposare, adagiata alla Gabbianara.
Rosalba è proprietaria delle Scole, gli scogli che emergono dagli abissi. Se immergi la testa vedi solo un blu infinito. Peter è attratto come una calamita da questa profondità. Con le sue bombole, quando la tecnologia era secondaria rispetto all’intuito e all’istinto, il sub tedesco scendeva oltre l’impossibile. E quando tornava su riportava sempre qualche cimelio del suo viaggio marino. Le Scole custodiscono un tesoro di anfore romane. Chissà, pensavano i gigliesi guardando i trofei di Peter, forse secoli fa una nave romana è affondata sbattendo negli scogli, proprio prima di arrivare al porto. La voglia di scendere sempre più giù portava Peter a esporre il suo fisico a imprese incredibili. E quando riemergeva, il sub tedesco si chiudeva in se stesso, in un rituale di gesti ieratici. La barba e i capelli lunghi, un maglione di lana. Sembrava un Cristo concentrato nella sua ascesi. Per almeno due giorni Peater non parlava con nessuno, per decomprimere la pressione del suo corpo dopo l’immersione proibita. Nessuno ha più saputo nulla di lui. Dopo molti anni sui fondali delle Scole è stata messa una statua votiva, protettrice dei sub. Il Cristo degli Abissi."
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