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Salvaguardia del Discoglosso: il parere dello zoologo Bologna

A seguito dell'ampia discussione scaturita dall'avvio del progetto "Let's go Giglio", sono numerosi gli esperti che ci hanno contattato per esprimere il proprio punto di vista sulla vicenda. A proposito della salvaguardia del Discoglossus Sardus, abbiamo raccolto in una breve intervista il parere del maggior esperto di anfibi nel panorama nazionale, lo zoologo Marco Bologna, che ha voluto replicare ad alcune affermazioni sostenute dallo zoologo Masseti nel suo articolo dei giorni scorsi.

Per chi non lo conoscesse, Marco Bologna è professore ordinario di Zoologia e docente di Biologia della conservazione e Biogeografia all’Università Roma Tre, dove è Direttore del Dipartimento di Scienze. Presidente del Comitato scientifico per la Fauna d’Italia. Già Vicepresidente e consigliere della Societas Herpetologica Italica. Coordinatore di numerosi progetti di ricerca tra cui, dal 2000 al 2004 di uno per il monitoraggio di specie a rischio dei anfibi e rettili italiani per il Ministero dell’ambiente. Autore di oltre 450 pubblicazioni in erpetologia, entomologia, biogeografia e biologia della conservazione, di cui oltre 210 su giornali o libri internazionali.

Professor Bologna lei è uno dei maggiori specialisti italiani di anfibi. Recentemente il Parco Nazionale Arcipelago Toscano è stato criticato dal prof. Masseti per alcuni interventi previsti dal progetto “Let’s go Giglio” a favore dell’anfibio Discoglosso sardo. Per prima cosa le domandiamo: ma la presenza di questa specie nell’isola del Giglio è veramente così importante?

Certo: il discoglosso sardo è una delle emergenze faunistiche dell’isola e dell’intero Parco nazionale. Questa specie, a distribuzione sardo-corsa ha delle popolazioni relitte oltre che al Giglio anche a Montecristo e sull’isola fossile dell’Argentario, la cui origine potrebbe essere legata a fenomeni di dispersione connessi ad eventi paleogeografici e paleoecologici nel Messiniano (quando il Mediterraneo si disseccò) o nel Quaternario (quando, a causa delle glaciazioni, il livello del mare si abbassò e le ridotte distanze tra le terre emerse potrebbero avere consentito dispersioni casuali). Si tratta quindi di popolazioni estremamente significative da un punto di vista biogeografico e di rilevanza notevole nella conservazione.

In particolare il prof. Masseti sostiene che creare nuovi piccoli bacini artificiali per la specie “... potrebbe avere conseguenze devastanti su questa popolazione relitta ...”. È cosi secondo lei?

Non sono d’accordo. È ovvio che le popolazioni residue non vanno minimamente alterate. Ma creare nuovi siti disponibili per la deposizione prossimi a quelli attuali non può che essere un vantaggio per questi animali. A mio avviso, per alcune specie di anfibi, soprattutto per quelle evolutivamente “antiche” come i generi Discoglossus (Alitidi) e Bombina (Bombinatoridi) ecologicamente meno plastiche, è necessario passare da una conservazione passiva ad una “attiva”, che preveda la costruzione di nuovi siti idonei alla riproduzione, ed eventualmente interventi di restocking con attività cosiddette ex situ. Le trasformazioni ambientali avvenute sul Giglio, come altrove in Italia, a causa della pressione antropica, ma soprattutto il cambiamento climatico in atto, che prevede piogge più concentrate, hanno effetti pesanti sulla riproduzione di specie che depongono in acque più calde e sottoposte a più rapido essicamento. Gli ambienti idonei disponibili sono sempre di meno e le popolazioni sempre meno numerose. La mortalità delle uova e girini deve quindi essere evitata anche con interventi di supporto. Da anni conduco un’esperienza in tal senso sull’ululone a ventre giallo in aree protette dell’Italia centrale, ovviamente autorizzata dal Ministero dell’ambiente, con risultati davvero significativi. Forse è venuto il momento di intervenire anche sulle popolazioni di discoglosso sardo nelle isole dell’arcipelago toscano e sull’Argentario.

Infine il prof. Masseti sostiene che ci si dovrebbe limitare a garantire una protezione degli ambienti che frequenta la specie aggiungendo che “... In fin dei conti, se l’anuro è sopravvissuto fino ad oggi vuol dire che le condizioni ambientali esistenti sull’isola sono in sintonia con le sue esigenze ...”. E' d’accordo con questa valutazione?

Come già detto, per talune specie la conservazione passiva delle sole aree naturali in cui le popolazioni sopravvivono può essere sufficiente, e resta comunque la base degli interventi gestionali. Il problema è che, soprattutto per gli anfibi, il declino per alcune specie in Italia è diventato drammatico: la salamandra giallonera in alcune zone dell’Italia centrale, il già citato ululone a ventre giallo in tutto il suo areale, il pelodite punteggiato in Liguria occidentale. In questi casi, provare a sviluppare progetti di conservazione attiva è a mio avviso la nuova frontiera della conservazione. Deve essere chiaro però, come dice Masseti, che alla base c’è necessità di ricerche faunistiche e popolazionali che identificano con certezza lo stato di conservazione; inoltre i progetti devono essere preparati da specialisti e sottoposti al vaglio di altri esperti indipendenti; infine è necessario effettuare un monitoraggio attivo sullo stato di avanzamento dei progetti eventualmente attivati, valutando eventuali effetti collaterali, pronti a modificare il progetto di conservazione.